Pubblichiamo intervento con Bergamini su Economia
e politica. La postilla è importante, ma è maturata un momento dopo la pubblicazione su E&P, e lì appare come commento. Con l'occasione ricordo anche la seguente iniziativa:
Sabato 5 aprile alle ore 15.30, presso la Sala Civica "Pablo" di
Via Marchesi 35 a Parma, si terrà il dibattito "Per un pugno di euro.
Analisi, critiche, alternative al sistema Europa", organizzato da
Comissione Audit, Insurgent City, Liberacittadinanza e Ross@-Parma.
Parteciperanno Sergio Cesaratto (Docente di Politica Economica,
Università di Siena), Riccardo Bellofiore (Docente di Economia Politica,
Università di Bergamo) e Luciano Barra Caracciolo (giurista, autore di
"Euro e (o) democrazia costituzionale").
Buona lettura
Cos’è il Quantitative Easing e che effetti può avere
Giancarlo
Bergamini*
Sergio Cesaratto**
La settimana scorsa, alcune dichiarazioni
possibiliste di Jens Weidmann, governatore della Bundesbank e
membro del consiglio direttivo della Banca Centrale Europea (BCE) con fama di
falco, hanno alimentato fra gli operatori dei mercati finanziari l'aspettativa
di imminenti misure di stimolo volte
a scongiurare i rischi di cali generalizzati dei prezzi e dei redditi (la
temuta deflazione). In particolare ci si attende che la BCE ponga in
essere operazioni note come Quantitative
Easing (QE per brevità) consistenti nell'acquisto massiccio di titoli con
denaro di nuova emissione.
La BCE sarebbe solo l'ultimo istituto d'emissione a
praticare il QE, dopo che da anni ne fanno uso, con diverse modalità, le banche
centrali di Usa, GB, Giappone e Svizzera. Tali acquisti, realizzati iniettando nel sistema moneta addizionale,
vengono variamente giustificati a seconda dei rispettivi mandati. La Federal
Reserve americana può esplicitamente dichiarare che l'aumento di domanda
ottenuto in virtù del QE consentirà di abbassare la disoccupazione; la Bank of
England si è limitata ad indicare che l'aumento di circolante serve ad evitare
che l'inflazione scenda troppo al di sotto del 2% annuo; la BCE lo presenterà
probabilmente come strumento di “trasmissione della politica monetaria”, cioè
volto a determinare tassi di interesse e provvista di credito sufficientemente
uniformi in tutta l’Eurozona e per i diversi operatori economici, ma anche come
strumento per evitare che il tasso di inflazione si allontani troppo
dall’obiettivo del 2%. Per la verità forme di QE sono state già praticate anche
dalla BCE sotto forma di acquisto di titoli pubblici nel mercato secondario nel
Securities Market Programme
(2010-11), ma in quel caso l’immissione di liquidità veniva sterilizzata ciò
che non accadrebbe col QE.
Nonostante operazioni di questo genere, spesso definite “non ortodosse” (ma cos’è l’ortodossia?), vengano
poste in essere fin dal 2008, non c'è ancora consenso sulla loro
efficacia. I critici sostengono, con
qualche plausibilità, che queste ingenti immissioni di liquidità non fanno che
alimentare altre bolle finanziarie, con tutti i rischi per la stabilità che ne
conseguono. In risposta a tali censure, alcuni economisti fra cui Larry
Summers, con una certa onestà intellettuale, si sono chiesti se le bolle non
siano proprio quello di cui hanno bisogno economie mature, altrimenti condannate
alla stagnazione, per ottenere un minimo di crescita.
L'abbassamento dei tassi d’interesse che si produrrebbe sui
titoli oggetto del QE – data la relazione inversa fra prezzo dei titoli e loro
rendimento - si trasmetterebbe tramite i normali meccanismi di mercato alle
altre classi di titoli e finirebbe,
secondo la teoria dominante, per incoraggiare le decisioni di spesa. Più
che sugli investimenti delle imprese, l’aumento del prezzo dei titoli potrebbe
avere “effetti ricchezza” sulla spesa delle famiglie che li posseggono, le
quali sarebbero invogliate a spendere di più forti della percezione di
un'accresciuta ricchezza mobiliare. Tale effetto è tuttavia più certo negli
Stati Uniti dove, per esempio via fondi comuni e fondi pensione, il ceto medio
possiede parecchi titoli, ma probabilmente meno in Europa.
Proviamo dunque ad immaginare realisticamente i possibili
vantaggi, in particolare per il
nostro paese, di un massiccio
programma di acquisti che comprenda titoli di tutti i Paesi dell'Eurozona in ragione
del peso dei rispettivi PIL. Un
ulteriore calo dei tassi a lungo termine avrebbe effetti positivi per il
bilancio pubblico, mentre le ripercussioni sulle obbligazioni societarie e sul
mercato azionario potrebbero favorire il
settore privato. Il condizionale è d’obbligo perché le decisioni di
investimento delle imprese dipendono fondamentalmente dalla domanda aggregata
attesa e non tanto da favorevoli condizioni sul lato del loro finanziamento. E
da questo punto di vista non ci attendiamo che il QE abbia effetti dirimenti
sulle decisioni di spesa delle famiglie.
Un eventuale QE
europeo comporterebbe una ripartizione degli acquisti di titoli fra i paesi
dell’Eurozona in proporzione alla partecipazione al capitale della BCE in modo da non prestare il fianco all'accusa di essere un aiuto
esclusivo alle economie periferiche. Più controversa è la
distribuzione degli acquisti fra titoli fra pubblici e privati, con i tedeschi
che favoriscono i secondi per motivi evidenti a tutti. Con un’economia tedesca
che marcia vicino al pieno impiego, laddove il QE conducesse a una maggiore
domanda interna questo potrebbe tradursi in
acquisti addizionali di nostri beni e servizi scongiurando nuovi squilibri commerciali intra-Eurozona. Si tratta
però di effetti sulla cui portata v’è da essere estremamente cauti e che,
comunque, dipendono dalla dimensione delle misure di QE, essa stessa un segnale
della volontà europea di combattere la crisi. E sull’esistenza di questa
volontà v’è anche da essere assai scettici.
Chi potrebbe certamente beneficiare del QE sono le banche,
sia che scelgano di cedere titoli alla BCE realizzando significative
plusvalenze, sia che preferiscano approfittare di più propizie condizioni sul
mercato azionario per condurre in porto i necessari aumenti di capitale.
In ogni caso, i loro quozienti patrimoniali risulterebbero migliorati, con
conseguenti maggiori chance di passare le “prove da sforzo” (stress test) a cui
saranno sottoposte dalla BCE nei prossimi mesi, il primo passaggio della gracilissima “unione bancaria” che
l’Unione Europea sta faticosamente impostando. Sospettiamo che il sostegno ai
bilanci bancari – inclusi quelli tedeschi, il che spiegherebbe la presa di
posizione di Weidmann - possa essere
la motivazione principale del QE. (Bilanci bancari in ordine potrebbero in
subordine accrescere la capacità di erogare credito, ma senza una ripresa della
domanda aggregata “il cavallo non beve” come si diceva un tempo).
Una possibile
variante del QE sarebbe l'acquisto di titoli rappresentativi di mutui fondiari
e prestiti alle aziende. Quasi la metà degli interventi della Banca Centrale
Usa ha per oggetto mutui cartolarizzati. In Europa il limite è costituito
dall'insufficiente disponibilità di tali titoli a causa del non massiccio ricorso alla cartolarizzazione (la complessa
procedura di “confezionamento” dei mutui), che diversamente dagli Usa non è
ancora ripresa su larga scala dopo il fermo
del 2008-2009.
Una ricaduta non trascurabile, una vera boccata d'ossigeno
per i nostri esportatori, potrebbe venire dall'indebolimento del cambio esterno
dell'Euro. A questo proposito, alcuni commentatori propongono che – analogamente a quanto fanno la Banca
Nazionale Svizzera e la Bank of Japan – la BCE compri titoli esteri, allo scopo
di abbassare il valore dell'Euro.
Viste le condizioni comatose della nostra economia, quella
del QE, presa in sé, può essere una proposta da non respingere. Ma il giudizio si fa più critico ove si allarghi lo
sguardo.
La prima riflessione riguarda il grave ritardo
nell'adozione - ammesso che vengano effettivamente adottate - di misure che
sarebbero state mature almeno due anni fa. E’ un ritardo dovuto esclusivamente
alla difficoltà di raccogliere, all'interno della BCE, il consenso di dirigenti
provenienti da Paesi in condizioni economiche divergenti. Viene da chiedersi
quali danni si siano prodotti, nel frattempo, nelle economie più deboli.
L’ineffabile Weidmann ha peraltro successivamente ritrattato parte delle sue
aperture in un defatigante stop and go sulla pelle di milioni di cittadini
europei.
La seconda criticità, ancora più grave, attiene alla
macroscopica asimmetria fra le vere e proprie acrobazie di una politica
monetaria espansiva di quantomeno dubbia efficacia e la deliberata
scelleratezza con cui si continua ad imporre all'eurozona una politica di bilancio ostinatamente restrittiva.
Il QE all’europea può risultare l’ennesimo pannicello caldo che la BCE
somministra alla disastrata economia europea procrastinando la sua agonia e il
redde rationem della moneta unica: un quadro questo in cui si affermano le
condizioni vieppiù sconfortanti dei
lavoratori, condannati a continui giri di vite in termini di sempre maggiore
precarietà e sempre peggiore salario. Ma
queste contraddizioni non sono che una prova ulteriore della perversità insita nell'architettura dell'euro,
che pare avviato a diventare una metafora di quanto di peggio c'è nel
capitalismo.
Postilla
Una postilla sollecitata anche da un commento
(ricevuto in privato) da Antonella Stirati.
1) Se il QE comporta acquisti di titoli proporzionali alle quote di capitale BCE (come probabile se si fa), questo non aiuta la discesa dei differenziali fra paesi dei tassi di rendimento dei titoli. Da questo punto di vista il QE dovrebbe riguardare soprattutto i paesi periferici (come ci suggeriva la prof.ssa Stirati). Nel pezzo noi abbiamo enfatizzato l’aspetto stimolo alla domanda interna tedesca, anche importante, pur con le molto cautele circa gli effetti del QE sulla domanda aggregata specie se condotto su scala inadeguata.
2) Circa la scelta fra titoli pubblici e privati: se il QE fosse rivolto come vorrebbero i tedeschi soprattutto o esclusivamente a quelli privati - per giunta di qualità, cioè di grandi imprese che l’Italia non ha (riprendo il Sole-24 Ore del 2 aprile) - non si assalirebbe la radice del problema, cioè il fatto che il settore del credito nella periferia pratica tassi di interesse elevati proprio come conseguenza dei tassi relativamente elevati sui titoli pubblici. Quindi se la BCE volesse essere coerente con l’obiettivo congiunto di preservare e uniformare la trasmissione della politica monetaria nell’Eurozona dovrebbe concentrare il QE sui titoli pubblici dei paesi periferici (come ci suggeriva Stirati). A questo punto il QE si risolverebbe in quello che da anni reclamiamo a gran voce: un intervento attivo della BCE sui debiti sovrani in difficoltà (senza condizionalità e senza sterilizzazioni). Naturalmente questo non basterebbe per “far bere il cavallo” senza un’opportuna politica fiscale espansiva, a sua volta favorita dalla politica monetaria accomodante.
1) Se il QE comporta acquisti di titoli proporzionali alle quote di capitale BCE (come probabile se si fa), questo non aiuta la discesa dei differenziali fra paesi dei tassi di rendimento dei titoli. Da questo punto di vista il QE dovrebbe riguardare soprattutto i paesi periferici (come ci suggeriva la prof.ssa Stirati). Nel pezzo noi abbiamo enfatizzato l’aspetto stimolo alla domanda interna tedesca, anche importante, pur con le molto cautele circa gli effetti del QE sulla domanda aggregata specie se condotto su scala inadeguata.
2) Circa la scelta fra titoli pubblici e privati: se il QE fosse rivolto come vorrebbero i tedeschi soprattutto o esclusivamente a quelli privati - per giunta di qualità, cioè di grandi imprese che l’Italia non ha (riprendo il Sole-24 Ore del 2 aprile) - non si assalirebbe la radice del problema, cioè il fatto che il settore del credito nella periferia pratica tassi di interesse elevati proprio come conseguenza dei tassi relativamente elevati sui titoli pubblici. Quindi se la BCE volesse essere coerente con l’obiettivo congiunto di preservare e uniformare la trasmissione della politica monetaria nell’Eurozona dovrebbe concentrare il QE sui titoli pubblici dei paesi periferici (come ci suggeriva Stirati). A questo punto il QE si risolverebbe in quello che da anni reclamiamo a gran voce: un intervento attivo della BCE sui debiti sovrani in difficoltà (senza condizionalità e senza sterilizzazioni). Naturalmente questo non basterebbe per “far bere il cavallo” senza un’opportuna politica fiscale espansiva, a sua volta favorita dalla politica monetaria accomodante.
Economia
e politica, 3 aprile 2014
*Già
funzionario di banca ** Professore ordinario di Politica monetaria e fiscale
del’Unione Monetaria Europea, Università di Siena
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