Pubblichiamo un articolo di Aldo Barba uscito oggi con il manifesto.
Un pareggio di bilancio poco democratico e molto recessivo
Aldo Barba*
Il Fiscal Compact rappresenta un completamento degli interventi con cui l’Europa ha inciso sulle istituzioni responsabili della conduzione della politica economica nei paesi membri. Da un lato, esso rafforza l’ortodossia fiscale posta a fondamento della moneta unica, risolvendo definitivamente la residua asimmetria tra politica di bilancio e politica monetaria creata con l’assetto di Maastricht: ora sono entrambe (e non più solo la politica monetaria) interamente e formalmente sottratte al controllo delle istituzioni elettive nazionali. Dall’altro lato, colloca lo svuotamento delle sovranità nazionali in un contesto politico di esplicita rinunzia ad ogni velleitarismo comunitario. Il bilancio in pareggio si impone come principio costituzionale nei singoli paesi; la sede della loro programmazione economica e finanziaria diviene l’Unione; di fatto, a guidare l’Unione non sono però istituzioni federali, ma un gruppo di comando ristretto capeggiato dai tedeschi e al quale gli altri paesi accedono in misura determinata dalla rispettiva dote di solidità finanziaria.
L’effetto della crisi mondiale sul progetto europeo non è stato quello di accrescere la spinta integrativa verso l’agognato sistema democratico sovranazionale. Il Fiscal Compact è infatti un accordo tra paesi, esterno al trattato di Maastricht, che ne inasprisce le regole fiscali, senza però attivare la procedura di revisione prevista dai trattati già in vigore, la quale avrebbe richiesto il consenso di tutti gli stati membri e non dei soli stati che condividono i principi dell’accordo. La drammatizzazione finanziaria è insomma riuscita a spingere i paesi membri ancora più avanti nella cessione di sovranità, ma non certo a favore dell’istituzione di un più ampio spazio democratico, quanto piuttosto attraverso l’adesione incondizionata a nuove e più stringenti regole di disciplina fiscale e la delega ai paesi finanziariamente più solidi di provvedere al controllo del loro rispetto. Il problema del ‘deficit democratico’ che ha storicamente afflitto le istituzioni comunitarie viene così definitivamente superato in negativo. Gli stati devolvono esplicitamente sovranità in uno spazio democratico vuoto, non occupato da nessuna istituzione sovranazionale, ma dagli stessi interessi che hanno spinto per la devoluzione di sovranità e che ne divengono al tempo stesso i ricettori, dopo averla però liberata da ogni aggancio con il sistema della rappresentanza democratica. Il corto circuito della democrazia posto a fondamento dell’Unione continua ad operare e si rafforza. Esso costituisce il presupposto necessario delle aberranti conseguenze economiche del Fiscal Compact. In effetti, sebbene momenti di convinta adesione al rigore fiscale non siano certo una novità, una così proterva applicazione dell’idea che il bilancio pubblico debba produrre avanzi, prescindendo dagli effetti recessivi che tali avanzi alimentano, costituisce un esperimento di politica economica senza precedenti, reso possibile proprio dall’estraneazione dei parlamenti nazionali dall’esercizio della rappresentanza, prima ancora che dalla determinazione della politica di bilancio. E’ ormai evidente a tutti l’assurdità dell’idea che saldi di bilancio quantitativamente adeguati non possano che agire nel senso di ridurre il debito pubblico in rapporto al prodotto – vale a dire l’assurdità di concepire la crescita come indipendente dalle condizioni della domanda, e quindi dallo stesso orientamento della manovra di bilancio. Ed è altresì evidente che le finanze pubbliche sono sempre più piegate all’esigenza di onorare un servizio del debito che in molti paesi dell’Unione è ormai fuori controllo per la folle idea di far determinare dal mercato i tassi di interesse a fini disciplinari, mentre si garantiscono ingenti risorse finanziarie a istituti di credito privati praticamente falliti, e che si stanno in larga misura ricapitalizzando lucrando gli elevati interessi sui titoli del debito pubblico acquistati con i trasferimenti finanziati dalla stretta fiscale. Non si sarebbe arrivati a tanto se vi fosse stato in Europa anche solo un residuo del meccanismo della rappresentanza, ed in effetti a tanto non si è arrivati negli Stati Uniti. Gli esiti di questo processo di avvitamento sono oggi imprevedibili. Un gruppo di economisti critici ne discute nel volume Oltre l’austerità liberamente scaricabile dal sito online di MicroMega.
(il manifesto 22 luglio 2012)
*Aldo Barba è ricercatore in economia politica presso l’Università di Napoli Federico II. Si occupa di questioni monetarie, finanza pubblica, debito pubblico e privato.
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