Carmen e Istwine hanno gentilmente tradotto su Voci dall'estero il mio nuovo post sull'MMT. Grazie!
LA FALSA VITTORIA DELLA MMT
Un nuovo articolo di Sergio Cesaratto rilancia la discussione sulla MMT - teoria universale e salvifica o tassello parziale da aggiungere ad un quadro più complesso e generale? Per il Prof di Siena è la seconda. In fondo all'articolo i riferimenti all' interessante dibattito che ne è seguito.
Grazie ad Istwine per la preziosa collaborazione!
Grazie ad Istwine per la preziosa collaborazione!
In un aggregatore di blog molto seguito, Randy Wray ha
proclamato la vittoria della MMT, e che adesso siamo tutti seguaci
della MMT. Ma vittoria su chi? Io personalmente non mi sento MMT, o meglio, mi
sento MMT, Sraffiano, Kaleckiano, Marxista e tante altre cose, ognuna presa cum
grano salis. Fanatismo ed esaltazione non fanno parte dell’Economia eterodossa,
per non parlare del lavoro accademico, e il fatto che Wray si sia così
innervosito dopo un primo commento critico da parte di un lettore ci fa capire
che siamo ben lontani da un dialogo sull’economia freddo ed equilibrato. La
MMT, come altri approcci, ha espresso molte importanti intuizioni riguardo alla
crisi Europea. Anche intellettuali della parte opposta come Werner Sinn, hanno
contribuito alla nostra comprensione della crisi, in questo caso per ciò che
riguarda il ruolo del TARGET2 (che Wray menziona per la prima volta o quasi).
La MMT però in effetti non ha compreso la principale caratteristica della crisi
dell’Eurozona: la sua natura di crisi di bilancia dei pagamenti. Ad ogni modo,
non considero la spiegazione data dalla MMT come alternativa, ma come
complementare all’idea di crisi da BdP. A questo proposito, una maggiore
modestia aiuterebbe tutti nella nostra attività politica e scientifica. Mentre
il mio punto di vista sulla crisi come crisi da BdP lo si trova qui (questo WP è una versione più lunga di
un articolo di un libro che verrà probabilmente pubblicato da Routledge, mentre
una versione blog si trova qui),
di seguito potete trovare alcune osservazioni critiche riguardo all’idea della
MMT sulla crisi dell’Eurozona, le quali fanno anch’esse parte di un paper più
lungo che verrà pubblicato in Spagnolo. Queste osservazioni sviluppano
ulteriormente l’articolo sulla MMT già pubblicato qui,
che è anch'esso una sezione del WP. Detto questo, sono pronto a riconoscere
che, con Godley 1992 e De Grauwe 1998,
Kelton e Wray (e pochi altri come Barba e Pivetti)
hanno formulato delle lungimiranti previsioni sulla crisi imminente, ognuna
volta a metterne in evidenza un particolare aspetto.
Consideriamo un’economia in cui un deficit del
settore pubblico sia accompagnato da un deficit delle partite correnti. Data la
piena sovranità monetaria, gli studiosi della MMT applicano lo stesso argomento
previsto per un’economia chiusa ad un’economia aperta: un deficit pubblico
corrisponde a una ricchezza privata netta o del settore privato interno o del
settore estero, perciò non vi sono limiti alla quantità di titoli del governo
detenuti all’estero “fintantoché il resto del mondo vuole accumulare i suoi
pagherò”:
“un paese può avere un deficit di partite
correnti fintantoché il resto del mondo vuole accumulare i suoi pagherò. Il
surplus in conto capitale del paese “bilancia” il suo deficit di
partite correnti … Possiamo anche considerare il deficit di partite correnti
come la conseguenza del desiderio da parte del resto del mondo di accumulare
risparmi netti in forma di crediti verso il paese.” (Wray 2011 MMP26)
È difficile credere che la condizione “fintantoché il resto del mondo
vuole accumulare i suoi pagherò” sia applicabile alla maggior parte dei
paesi.
Per sostenere la sua posizione, Wray estende
la teoria Cartalista sulla moneta – la valuta emessa dallo Stato per finanziare
le proprie spese è accettata giacché lo Stato stesso accetta i pagamenti delle
tasse solo in quella valuta – al settore estero, anche se questo non deve
pagare le tasse al paese in deficit:
“Ogni Stato sovrano ottiene “qualcosa per
niente” imponendo un carico fiscale, e quindi emettendo la valuta utilizzata da
coloro i quali devono adempiere alla propria obbligazione. La sola differenza
qui è che il Governo USA ha ottenuto beni prodotti all’estero, da individui che
non sono soggetti al suo potere impositivo – in altre parole, da chi non paga
le tasse negli USA. Tuttavia, anche all’interno di un paese ci possono essere
individui che eludono ed evadono la tassazione imposta dal potere sovrano, ma
che sono comunque disposti ad offrire i propri prodotti in cambio di valuta
sovrana. Perché? Perché i cittadini che non sono nella posizione di poter
eludere o evadere le tasse hanno bisogno di quella valuta, dunque sono disposti
ad offrire la propria produzione per ottenerla. Il dollaro USA ha valore
all’estero perché i contribuenti Statunitensi necessitano di quella valuta.” (Wray 2006a: 22)
Non sembra, comunque, che i Cinesi vogliano
dollari per acquistare beni dai contribuenti Statunitensi (o per acquistare
beni da coloro i quali vorrebbero acquistare beni Statunitensi). I Cinesi non
esportano negli Stati Uniti con lo scopo di importare da loro, ma ciò
nonostante accettano dollari USA per complesse ragioni che fanno del dollaro
una valuta unica, ragioni che non consideriamo qui. A parte il particolare
status del dollaro Statunitense come valuta preferita a livello internazionale,
si può dire che solo le valute forti di paesi con persistenti surplus delle
partite correnti – che è utile identificare qui come paesi mercantilisti, per
esempio la Svizzera o la Germania – possono avere lo status di valute
internazionali. Le passività denominate nella valuta di paesi non mercantilisti
(con l’eccezione degli USA) non
hanno l’accettazione illimitata che Wray ritiene che avrebbero solo sulla base
della piena sovranità monetaria a prescindere dal tasso di cambio (che potrebbe
scoraggiare gli stranieri ad accettare pagherò denominati in quella valuta),
comepretende Wray (2011 MMP 11) in passaggi come questo:
“Ciò che è importante per la nostra
analisi, comunque, è che con un tasso di cambio flessibile, un governo non ha
bisogno di preoccuparsi dell’eventualità di rimanere privo di riserve
internazionali (o riserve in oro) per il semplice fatto che non converte valuta
straniera in valuta interna ad un tasso di cambio fisso. In effetti, il governo
non deve promettere alcuna conversione.”
Tuttavia, è precisamente questa mancata
promessa, o la sua insostenibilità nel lungo periodo (come in molti casi di
currency board), e l’aspettativa di un deprezzamento della valuta, che implica
che il governo di un paese non mercantilista potrebbe dover pagare sui propri
debiti degli interessi che potrebbero rendere insostenibili deficit e debito
interno e, simmetricamente, deficit e debito estero. Perciò, non è tanto la piena
sovranità monetaria di una valuta, quanto la più
terrena e concreta situazione
delle partite correnti del paese che fa la differenza in termini di
sostenibilità di quei debiti (Frenkel and Rapetti 2009: 689). I tassi di cambio
flessibili aiutano, certo, ma non tanto perché assicurano l’accettazione di un
qualunque ammontare di passività a tassi d’interesse sostenibili – come
potrebbero? – ma perché possono contribuire a riequilibrare nel lungo periodo i
conti con l’estero e (simmetricamente) a stabilizzare la contabilità degli
stock e dei flussi interni. Paradossalmente Wray (2011 MMP 25) sembra invitare
i paesi “in cui la domanda estera di assets denominati in valuta interna è
limitata” a perseguire la catastrofica strada dell’indebitamento estero (per
loro “c’è sempre la possibilità che il settore privato prenda a prestito in
valuta estera per promuovere lo sviluppo che aumenterà la capacità di esportare”)
il quale, peraltro, presuppone la rinuncia alla sovranità monetaria.
Wray si sofferma, tuttavia, solo su un aspetto
della sovranità monetaria, quella che possiamo definire “interna”, cioè la
possibilità del governo di finanziare ogni ammontare di spesa al tasso
d’interesse nominale desiderato, concedendo al massimo un benevolo disinteresse
al ruolo del tasso di cambio nel mettere in sicurezza il saldo estero, ciò che
potremmo definire come l'aspetto “esterno” della sovranità monetaria. Se, per
esempio:
“si ritiene che un deficit di bilancio
possa far crescere la domanda e aumentare il deficit commerciale o causare
inflazione – cose che possono, entrambe, influire negativamente sul valore del
tasso di cambio della valuta – la banca centrale potrebbe reagire aumentando il
tasso d’interesse per sostenere la domanda di valuta (…) da parte del resto del
mondo. La politica di bilancio è vincolata anche dalle pressioni percepite sui
tassi di cambio. Per essere precisi, anche i paesi che hanno tassi di cambio
flessibili formulano la propria politica monetaria e fiscale tenendo conto dei
possibili effetti sul tasso di cambio. Tuttavia, con un sistema di tassi di
cambi fissi, c’è veramente poco spazio di manovra … Ciò che potremmo chiamare
potere sovrano viene decisamente ridotto. Non è una coincidenza che i paesi che
operano con tassi di cambio fissi oggi siano costretti ad implementare
politiche di austerità – e che siano immediatamente puniti quando cercano di
adottare politiche espansive. I principi discussi sopra in realtà non si
applicano alla finanza di un governo che agisca in un regime di cambi fissi.
Effettivamente se vi è la promessa di convertire la valuta interna ad un tasso
di cambio fisso, le passività del governo sono “garantite” da valuta straniera
o da riserve in oro. L’adozione di tassi di cambio flessibili aumenta l’indipendenza
della politica interna. (Wray
2006b: 9)
Ma, ancora una volta, la difficoltà non sembra
il fatto che vi sia “una promessa di convertire la valuta interna a un tasso di
cambio fisso”: fintanto che un paese ha riserve internazionali in abbondanza,
questo non è affatto un problema. Il vero problema è ancora la condizione
strutturale dei conti con l'estero di un paese. Sistemi di cambi fissi o unioni
monetarie si adattano perfettamente ai paesi mercantilisti, come mostra
l’esperienza della Germania durante il regime di Bretton Woods, l’UEM e lo SME
(Cesaratto e
Stirati 2011). Di certo non sono adatte a paesi non mercantilisti.
Con tassi di cambio fissi non è tanto il limite alla possibilità di monetizzare
il debito a causare alti tassi d’interesse (sino a che un paese possiede una
banca centrale sovrana la monetizzazione in linea di principio è sempre
possibile) bensì il fatto che il tasso di cambio potrebbe essere incompatibile
con gli squilibri con l’estero. Questo può portare allo stesso tempo a
politiche interne restrittive, che influiscono negativamente sul PIL, e ad
elevati tassi d’interesse allo scopo di garantire il finanziamento estero del
debito estero/interno. I tassi d’interesse più alti peggiorano il saldo dei
redditi netti dall’estero nel conto delle partite correnti (e simmetricamente
il costo degli interessi sui debiti interni). Questo, unito alla stagnazione
del PIL, porta il paese ad una situazione di insostenibilità del rapporto
debito/PIL interno. [1] I paesi non mercantilisti necessitano di tassi di
cambio flessibili non per essere in grado di emettere qualunque ammontare di
passività con l'estero – dato che sono “garantite da valuta nazionale” – come
pretende Wray, ma perché la flessibilità del tasso di cambio è lo strumento
necessario, seppur con diversi limiti, per rendere compatibile lo stimolo alla
domanda interna con l'equilibrio dei conti con l’estero. (Potrebbero anche
essere necessari dei controlli sui deflussi di capitali per permettere al paese
di finanziare i propri deficit di bilancio a tassi d’interesse sostenibili).
[2] Per una terza categoria di paesi, il regime di cambio è irrilevante: come
notoriamente disse una volta il Segretario del Tesoro USA, Paul Paulson: “Il
dollaro è la nostra valuta, ma è il vostro problema”. Questo è l’ “esorbitante
privilegio” denunciato dall’allora Ministro delle Finanze di De Gaulle, Giscard
D’Estaing.
Anche se Wray non trascura il fatto che la
possibilità di far aumentare a dismisura il debito estero è dovuta all’
“egemonia del dollaro”, cioè a una prerogativa Statunitense, egli tuttavia
tende a minimizzarlo come un problema secondario. Infatti, laddove discute
esplicitamente il problema, egli ammette con riluttanza (ma apertamente) che il
dettaglio insignificante che ogni Stato “può
incorrere in deficit di bilancio che contribuiscono ad alimentare deficit di
partite correnti senza preoccuparsi dell’insolvenza dei conti nazionali o dei
conti pubblici” si applica,
in effetti, solamente agli Stati Uniti. “esattamente
perché il resto del mondo vuole Dollari. Ma di certo questo non può essere vero
per ogni paese. Attualmente il Dollaro USA è la valuta di riserva
internazionale – il che fa degli Stati Uniti un paese speciale.”e “le due ragioni principali
per le quali gli Stati Uniti possono realizzare persistenti deficit di partite
correnti sono: a) praticamente tutto il suo debito estero è in Dollari; e b) la
domanda estera di assets denominati in Dollari è elevata – per una serie di
ragioni.”(Wray 2011 MMP 25).
Perciò Wray ha ragione quando dice che la
piena sovranità monetaria è utile per implementare politiche di piena
occupazione, ma non per le giuste ragioni. Non è vero che, a parte gli Stati
Uniti, i “paesi normali” possono finanziare qualunque ammontare di spesa
pubblica (e anche privata) emettendo una valuta accettata a livello
internazionale (quindi senza preoccuparsi del saldo estero). In particolare, i
paesi non mercantilisti sperimentano di solito un vincolo estero alle politiche
di piena occupazione. Nel loro caso la completa sovranità monetaria conta non
tanto rispetto al suo significato “interno” di capacità di emettere qualunque
quantità di moneta – che è chiaramente impossibile – quanto dal punto di vista “esterno”
rispetto ai tassi di cambio flessibili che fanno in modo che ci sia un
equilibrio estero mentre il paese persegue le politiche desiderate. È il ruolo
esterno della sovranità monetaria che permette (come noto) alla politica
monetaria di finanziare la spesa pubblica a tassi d’interesse sostenibili
(questo potrebbe richiedere anche un controllo sui movimenti dei capitali). Una
prova del perché Wray sia in errore sta nell’esperienza della periferia
dell’Eurozona: nonostante la mancanza di una sovranità monetaria nazionale,
durante gli anni dell’UEM (Unione Monetaria Europea) la spesa privata e
pubblica ha beneficiato di bassi tassi d’interesse nominali (e tassi
d’interesse reali negativi): da questo punto di vista una banca centrale
sovrana non avrebbe potuto fare di meglio. I problemi sono sorti sull’aspetto
esterno della mancanza di sovranità monetaria: l’impossibilità di aggiustare i
crescenti squilibri con l’estero (dovuti a un forte aumento delle importazioni
e alla perdita di competitività di prezzo). Questi squilibri sono alla base del
progressivo aumento degli spreads sovrani, non la politica della BCE. Certo,
un’azione forte della BCE per abbattere gli spreads (cosa che potrebbe fare)
sarebbe enormemente d'aiuto una volta che gli spreads aumentassero. Ma non
risolverebbe gli squilibri con l’estero che sono all’origine della crisi e che,
invece, sono maturati quando gli spreads sovrani erano a livelli storicamente
bassi.
Senza dubbio, a livello Europeo aggregato e
con la garanzia di intervento della BCE, gli squilibri finanziari sarebbero
perfettamente sostenibili, ed effettivamente l’Eurozona sarebbe un paese
perfettamente MMT che emette una valuta internazionale (e anche con un saldo
delle partite correnti in equilibrio con il resto del mondo). Le riforme
istituzionali richieste perché l’Eurozona assomigli agli USA sarebbero comunque
troppo impegnative per un club di nazioni indipendenti quale è in realtà
l’Europa. Sarebbe necessario il trasferimento di molte funzioni del bilancio
statale ad un governo federale, assieme ai debiti pubblici esistenti, mentre
gli Stati locali funzionerebbero come gli Stati federati Americani. I
trasferimenti federali dalle aree dinamiche verso le aree in difficoltà
dovrebbero aumentare enormemente, mentre un minimo standard di welfare dovrebbe
essere riconosciuto a tutti i cittadini Europei. La mobilità del lavoro e gli
investimenti diretti intra-Eurozona dovrebbero essere incentivati. Bello, ma
fuori dalla nostra portata. Naturalmente basterebbe molto meno per riequilibrare
l’Eurozona, ma anche questo sembra essere un’utopia, dato che richiede un
profondo cambiamento nell’attitudine mercantilista dell'economia dominante.
Tornando alle critiche a Wray e ai suoi
compagni MMT, la piena sovranità monetaria, ovvero il potere di un paese di
emettere una valuta non convertibile che sia universalmente accettata per i
pagamenti interni ed esteri, non è, con la possibile eccezione degli USA, una
piena prerogativa di tutti i paesi, e dunque non è neanche la panacea di tutti
i mali che ritengono gli esponenti MMT. L’evidente mancanza di considerazione
dei problemi negli scambi con l’estero che un paese “normale” sperimenterebbe
nel caso in cui un maggiore deficit/debito pubblico si combinasse con un
aumento del deficit/indebitamento netto con l’estero, implica una non
considerazione da parte della MMT del vincolo estero che i paesi “normali”
incontrano nel sostenere la domanda di piena occupazione anche con tassi di
cambio flessibili. Gli esponenti della MMT rispecchiano troppo la particolare
posizione degli USA come emittente del principale mezzo di pagamento a livello
internazionale. [3] Non considerare il vincolo esterno – che può essere
espresso come la necessità per i paesi “normali” di mantenere il saldo delle
partite correnti in equilibrio nel lungo periodo, cioè, un equilibrio tra
entrate e uscite di riserve internazionali – porta gli esponenti della MMT ad
una interpretazione parziale della crisi Europea. Questa non dipende solo ed
esclusivamente dall’abbandono della sovranità monetaria per ciò che concerne la
possibilità di monetizzare i debiti pubblici (e interni), in particolare gli
alti spreads sui debiti sovrani non dipendono da questo. È semmai l’abbandono
della flessibilità delle valute in un’area valutaria non ottimale in un
contesto di liberalizzazione finanziaria che prima ha portato ai flussi di
capitali dai paesi centrali verso i paesi periferici che tipicamente si sviluppano
in un contesto di tassi di cambio fissi. In seguito, gli squilibri
interni/esteri che ne sono derivati sono diventati insostenibili per via
dell’inversione dei flussi di capitali (anch’essa tipica) e dei conseguenti
drammatici aumenti degli spreads sovrani (e non sovrani). Quindi la storia non
è esattamente come la descrivono gli studiosi MMT. La spiegazione deve per
forza di cose passare attraverso gli squilibri esteri che, invece, sono da loro
trascurati, rispecchiando forse una particolare visione tipicamente Americana.
Bibliografia:
Frenkel R. and Rapetti M. (2009)http://cje.oxfordjournals.org/content/33/4/685.abstract -
aff-1#aff-1 A developing country
view of the current global crisis: what should not be forgotten and what should
be done, Camb. J. Econ. (2009) 33 (4): 685-702.
C. Sardoni & L. Randall Wray, 2007. "Fixed and Flexible Exchange Rates and Currency Sovereignty," Economics Working Paper Archivewp_489, Levy Economics Institute,
Wray L.R. (2006a) Understanding Policy in a Floating Rate Regime, Working Paper No. 51, Center for Full Employment and Price Stability, University of Missouri-Kansas City
Wray L.R. (2006b) Extending Minsky's Classifications of Fragility to Government and the Open Economy by. Working Paper No. 450 The Levy Economics Institute.
Wray L.R. (2011 MMP 11) Modern Money Theory and Alternative Exchange Rate Regimeshttp://www.neweconomicperspectives.org/2011/08/mmp-blog-11-modern-money-theory-and.html
Wray L.R. (2011 MMP 25), Currency Solvency and the Special Case of the US Dollar http://neweconomicperspectives.org/2011/11/mmp-blog-25-currency-solvency-and.html
Wray L.R. (2011 MMP 26) Sovereign Currency and Government Policy in the Open Economy,http://neweconomicperspectives.org/2011/11/mmp-blog-26-sovereign-currency-and.html
C. Sardoni & L. Randall Wray, 2007. "Fixed and Flexible Exchange Rates and Currency Sovereignty," Economics Working Paper Archivewp_489, Levy Economics Institute,
Wray L.R. (2006a) Understanding Policy in a Floating Rate Regime, Working Paper No. 51, Center for Full Employment and Price Stability, University of Missouri-Kansas City
Wray L.R. (2006b) Extending Minsky's Classifications of Fragility to Government and the Open Economy by. Working Paper No. 450 The Levy Economics Institute.
Wray L.R. (2011 MMP 11) Modern Money Theory and Alternative Exchange Rate Regimeshttp://www.neweconomicperspectives.org/2011/08/mmp-blog-11-modern-money-theory-and.html
Wray L.R. (2011 MMP 25), Currency Solvency and the Special Case of the US Dollar http://neweconomicperspectives.org/2011/11/mmp-blog-25-currency-solvency-and.html
Wray L.R. (2011 MMP 26) Sovereign Currency and Government Policy in the Open Economy,http://neweconomicperspectives.org/2011/11/mmp-blog-26-sovereign-currency-and.html
Note:
[1] Che l'ancoraggio del cambio non sia un
problema per i paesi mercantilisti è in parte riconosciuto da Nersisyan e Wray
(2010: 13): 'L'adozione di un ancoraggio del cambio costringe un governo a
cedere almeno una parte dello spazio della politica fiscale e monetaria -
naturalmente, i vincoli sono meno restrittivi se il paese registra delle
eccedenze nelle partite correnti e può accumulare riserve di valuta estera (o
metallo prezioso).[2] Sardoni e Wray (2007: 15-6) considera la flessibilità del
tasso di cambio come un pre-requisito per la politica di bilancio di piena
occupazione nella misura in cui lo Stato può finanziare la spesa non tenendo
conto degli equilibri con l'estero. La loro unica preoccupazione è per le
possibili conseguenze sull'inflazione interna, mentre gli effetti positivi
della bilancia commerciale sono anche considerati con sospetto (dal momento che
un deficit commerciale è visto come sostenibile e positivo dal punto di vista
del benessere nazionale). Queste argomentazioni sembrano riflettere la
posizione unica degli Stati Uniti e non guardano al quadro generale.[3] L'EZ è
nella stessa posizione, ma purtroppo non trae vantaggio da questa opportunità.
Ed ecco il dibattito successivo:
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