Ecco la dichiarazione di Giorgio Napolitano: "Fu allievo fedele e premuroso, e studioso altamente qualificato di Piero Sraffa, e si adoperò intensamente per tramandarne l'eredità di pensiero. Dall'amicizia per il suo maestro eravamo profondamente legati, e anche per questa ragione lo ricordo con commozione" (da Il riformista 19 ottobre). Grazie Presidente.
La scomparsa di un Maestro dell’economia critica
(l'Unità 19 ottobre 2011)
(l'Unità 19 ottobre 2011)
Sergio Cesaratto
La figura di Pierangelo Garegnani è inscindibilmente legata alla critica alla teoria economica dominante e alla ripresa dell’approccio degli economisti classici e di Marx. Tale lavoro era stato avviato sin dagli anni venti del secolo scorso da Piero Sraffa, di cui Garegnani era l’allievo prediletto.
Garegnani conseguì il dottorato a Cambridge con una tesi dedicata alla teoria del capitale appena prima la pubblicazione nel 1960 del famoso libro di Sraffa Produzione di merci a mezzo di merci. Questo volume sollevò un’accesa controversia fra un gruppo di economisti di Cambridge capitanati da Garegnani e Pasinetti e gli economisti americani dell’MIT guidati da Paul Samuelson. La controversia verteva sulla possibilità di considerare la “quantità di capitale” disponibile nell’economia alla stregua delle quantità disponibili degli altri “fattori della produzione” – misurabili in termini fisici - nell’avvicinare la determinazione della distribuzione del reddito fra salari e profitti. La teoria dominante (nota come “marginalista” o “neoclassica”) assume, infatti, che l’ammontare di capitale sia una grandezza nota in “valore” prima della determinazione di salari, profitti e prezzi. I risultati della controversia confermarono, portando alla luce più complesse manifestazioni dell’errore marginalista, quello che era già ben noto ai primi esponenti della teoria dominante, che è impossibile misurare il capitale in “valore” senza già conoscere la distribuzione del reddito e i prezzi. I fondamenti della visione liberista della distribuzione e del mercato ne uscirono devastati. Il clamore della sfida al cuore analitico della teoria marginalista diede inoltre un’enorme fiducia nella possibilità di sviluppare analisi economiche alternative.
Garegnani non solo contribuì in maniera decisiva alla controversia, ma in un saggio del 1963 ne trasse sviluppi che andavano a rafforzare la critica di Keynes alla teoria macroeconomica neoclassica. Il lavoro di Garegnani ha consentito di irrobustire la critica keynesiana proprio nei punti dove questa era maggiormente esposta al riassorbimento nella teoria dominante, offrendo un contributo fondamentale all’idea che la teoria della domanda effettiva di Keynes sia valida nel breve come nel lungo periodo, così come i suoi precetti di politica economica.
Mentre dagli anni settanta la critica in tema di teoria del capitale si spostò, sempre per merito di Garegnani, su fronti nuovi in risposta al tentativo neoclassico di sfuggire ai problemi sopra richiamati, egli continuò il lavoro di ripresa del punto di vista degli economisti classici e di Marx avviato da Sraffa. Questo punto di vista ruotava attorno al concetto di sovrappiù, ciò che rimane del prodotto sociale una volta sottratto ciò che serve a pagare le sussistenze alla classe lavoratrice. Il sovrappiù era posto degli economisti classici e da Marx come punto di partenza della spiegazione della distribuzione del reddito, vista come dipendente dai rapporti di forza fra le classi sociali, dello sviluppo economico e delle crisi. La determinazione del sovrappiù sulla scorta della teoria del valore-lavoro, incontrava tuttavia dei problemi analitici portati a soluzione da Sraffa sulla scia di indicazioni dello stesso Marx. Ciò comportava però l’abbandono della teoria del valore-lavoro. In celebri discussioni su Rinascita Garegnani riconobbe a tale teoria l’importante ruolo storico di aver fatto da argine alla dominanza della teoria marginalista, ruolo che ritenne tuttavia non più necessario laddove dalla teoria di Sraffa si potevano più rigorosamente trarre le medesime implicazioni circa la realtà dello sfruttamento capitalista.
Rigore e riservatezza, e il legame col movimento operaio, pongono la figura di Garegnani in continuità con quella di Piero Sraffa di cui egli ha magistralmente chiarito e sviluppato l’impostazione.
Le passioni rigorose di un critico del capitale
(il manifesto 19 ottobre 2011)Le passioni rigorose di un critico del capitale
Antonella Stirati
E’ mancato lo scorso 15 ottobre Pierangelo Garegnani, economista che ha dato un contributo di grandissima rilevanza alla teoria economica.
Il suo prestigio internazionale è legato soprattutto al suo ruolo nella controversia sulla teoria del capitale negli anni ‘60 e ’70, che costrinse Samuelson, allora principale esponente della teoria economica dominante, ad ammettere la correttezza e rilevanza delle critiche mosse.
I lettori del Manifesto ne ricorderanno più probabilmente i contributi alla discussione su Marx e Sraffa che si sono svolti su Rinascita tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, o un recente contributo alla Rivista del Manifesto (2004, con M. Lucii e T. Cavalieri) in cui si proponeva una interpretazione del cambiamento politico ed economico – una sconfitta del mondo del lavoro – verificatosi nei paesi industrializzati alla fine degli anni ’70.
Tuttavia manca spesso, probabilmente a causa della progressiva chiusura e frammentazione del dibattito economico a partire dagli anni ’70, una visione complessiva del lavoro teorico di Garegnani, che si colloca in profonda continuità con quello di Piero Sraffa. Tale lavoro teorico ha una portata non solo critica ma anche fortemente costruttiva e propositiva con implicazioni di grande rilievo per l’interpretazione dei fenomeni economici e per la politica economica.
Ciò che veniva messo in discussione nella critica alla teoria marginalista del capitale, erano i fondamenti teorici, e quindi la stessa legittimità scientifica, della teoria dominante in tutte le sue implicazioni. Tra queste, hanno rilevanza centrale l’affermazione che una economia di mercato tende spontaneamente alla piena occupazione del lavoro e all’utilizzo della capacità produttiva esistente, purché non vi siano ostacoli derivanti da rigidità di prezzi e salari, e la connessa spiegazione della distribuzione del reddito tra salari e profitti come il risultato di meccaniche e neutrali “forze di mercato” – da un lato ineludibili, dall’altro portatrici di efficienza.
A tale critica ai fondamenti della teoria dominante Garegnani attribuiva il ruolo importantissimo di liberare lo studio dei fenomeni economici dalla morsa delle conclusioni della teoria tradizionale e di dare una solida base scientifica alla ripresa della impostazione classica e di Marx per quanto riguarda la teoria della distribuzione e dei prezzi, e al principio Keynesiano della domanda effettiva come unica teoria legittimamente fondata del livello di produzione e occupazione.
Su entrambi questi versanti (ripresa dei classici e sviluppi della teoria del reddito) il contributo di Garegnani è stato molto rilevante. I suoi numerosi lavori relativi alla interpretazione dei classici e di Marx (si può qui ricordare, in italiano, Marx e gli Economisti Classici, Einaudi, 1981) hanno contribuito a chiarire la struttura di quella impostazione, caratterizzata in modo essenziale da una visione della distribuzione del reddito come determinata dai rapporti di forza tra le parti sociali: influenzata quindi da un insieme di fattori economici e istituzionali e quindi – come aveva scritto Sraffa nella sua corrispondenza – non indipendente dalle azioni intraprese dalle parti sociali.
E’ proprio nella natura di questo conflitto, e nella disparità di potere che comunque caratterizza i proprietari dei mezzi di produzione rispetto ai lavoratori, che Garegnani, seguendo i classici, vedeva le origini del profitto e la base della nozione di sfruttamento in Marx. Una nozione dunque che sopravvive, insieme alla impostazione generale e alla maggior parte dei contributi di Marx , ad esempio relativi alla analisi della accumulazione, anche senza la teoria del valore lavoro. Quest’ultima, in Marx e anche in Ricardo, è stata uno strumento importante di analisi economica, che ha consentito importanti progressi, ma che tuttavia per i suoi limiti deve e può essere oggi abbandonata grazie al contributo di Piero Sraffa alla teoria classica dei prezzi e della distribuzione.
Per quanto riguarda la spiegazione dei livelli di occupazione, Garegnani ha contribuito a chiarire le tensioni esistenti tra la teoria dominante della distribuzione e la teoria Keynesiana del reddito basata sul principio della domanda effettiva, ed ha argomentato che quest’ultima poteva ben conciliarsi con la teoria classica della distribuzione e dei prezzi relativi. In tal modo verrebbero meno quegli elementi che hanno portato gli economisti mainstream a considerare la teoria Keynesiana al più come una teoria delle recessioni o del ciclo economico, ma non valida tuttavia a descrivere le tendenze dell’economia su periodi più lunghi (si veda, in italiano, Valore e domanda effettiva, Einaudi, 1979).
Sulla base delle premesse appena descritte Garegnani ha anche contribuito a delineare le basi di una teoria della accumulazione coerente con il principio della domanda effettiva. Se, sulla base di quest’ultimo, si può affermare che in un dato periodo sono le componenti della domanda (consumi, investimenti, spesa pubblica, esportazioni) a determinare il livello di produzione e occupazione e il grado di utilizzo della capacità produttiva esistente, su periodi più lunghi sarà lo stesso andamento delle componenti della domanda a determinare la creazione – o la distruzione – di capacità produttiva da parte delle imprese. Ne segue, ad esempio, che riduzioni della domanda, quali quelle determinate da riduzioni dei salari o da ‘politiche di austerità’, non solo hanno effetti negativi sull’occupazione nel breve periodo, ma anche nel lungo, in quanto compromettono la crescita della base produttiva.
In realtà le conclusioni della teoria che era stata attaccata e apparentemente sconfitta nella controversia sul capitale sono ancora tra noi e spesso dominano il dibattito sulla politica economica. Il perché di tale resistenza è probabilmente molto complesso sia sul piano scientifico che sociale e non può essere questa la sede per una analisi adeguata. Nel concludere questo profilo mi fa piacere però ricordare la grande fiducia di Garegnani nel fatto che, nel dibattito economico come in altri campi scientifici, il rigore teorico e la validità delle analisi proposte avrebbe comunque finito col prevalere – e come questa fiducia lo abbia portato a un impegno intellettuale che non è mai venuto meno e che lo ha visto interloquire, anche negli anni più recenti, con prestigiosi economisti di diverso orientamento.
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