giovedì 22 settembre 2011

La Germania, la BCE e il resto del mondo... e un appello

Pubblichiamo un nostro articolo uscito sul quotidiano on-line Lettera 43. Nel frattempo Eurointelligence ci avverte che il Presidente della Bundesbank Jens Weidman ha invitato la fronda ultra-conservatrice all’interno della BCE – che include i governatori delle banche centrali del Lussemburgo e dell’Olanda – per studiare le strategia per opporsi all’intervento della BCE a impedire l’esplosione dell’Euro. Commenta Eurointelligence: “Questo gruppo non costituisce una maggioranza determinante…[ma] questo è uno sviluppo il cui significato non può essere sopravalutato. La Germania è in rivolta aperta contro le politiche di soluzione della crisi dell’eurozona”.
Ciò mentre si moltiplicano le voci da commentatori spesso vicini al mondo finanziario (Martin Wolf, Pierpaolo Benigno) a favore di un intervento risoluto della BCE quale invocato da tempo su questo blog: <“The E.C.B. can stop this crisis in a minute if they want to,” said Guntram B. Wolff, deputy director of Bruegel, a research organization in Brussels. The bank, he said, could simply overwhelm bond markets by buying huge quantities of debt from Greece, which is effectively insolvent, as well as other countries that have come under attack, like Italy. End of crisis> si legge (v. anche qui). Significativo l’eco nei media internazionali del sostegno di Adam Posen, un economista americano che è fra i nove membri del comitato di politica monetaria della Banca d’Inghilterra, all’intervento risoluto della BCE. La FED ha deciso ieri di farlo nel terzo “Quantitative easing”, immissione di liquidità nel sistema per abbassare i tassi di interesse (questo può non bastare, i tassi bassi sono come portare il cavallo alla fonte, non è detto che beva; allora serve la politica fiscale, ma i Repubblicani si oppongono). Ma in Europa il ministro delle finanze tedesco Schauble (che comincia a essere scimmiottato dai Repubblicani-Tea Party americani) dice no: “"We don't believe that you can resolve real economic problems trough monetary policy". E persino il falchetto Lorenzo Bini Smaghi (membro del Board esecutivo della BCE) replica alle critiche tedesche alla BCE rivendicando le credenziali anti-inflazionistiche della BCE (ahimé è vero) e sostenendo che le critiche tedesche sono “the result of inadequate economic analysis, of insufficient knowledge of the crisis in which we find ourselves and of anxiety resulting from experiences in the distant past that are not relevant to the current situation”.>
 Larry Summers (Check), professore di Harvard ed ex consigliere economico di Obama, ha paragonato le politiche europee a quelle americane durante la guerra del Vietnam: fare a ogni passaggio il minimo necessario per non far esplodere la situazione, ma senza mai risolverla, sino a che la crisi non diventa irrisolvibile. Ha poi auspicato che nel meeting mondiale dei ministri economici e dei banchieri centrali il prossimo week end siano l’insieme delle altre nazioni a imporre un alt al "riluttante incrementalismo" e alle inutili politiche dei tagli di bilancio.
Un appello infine. Questo blog in due mesi si è conquistato un piccolo, ma significativo, pubblico in Italia e all’estero, a cui va aggiunto il rilancio degli articoli da molti blog e siti amici. Esso ha costituito una fonte tempestiva e, crediamo, qualificata di informazioni sulla crisi in corso sopperendo alla evidente carenza in questo senso di altre riviste economiche “alternative” on-line. Il mio impegno è di continuare una o due volte a settimana di continuare a informare e commentare, quello dei miei lettori di aiutarmi a estendere il pubblico fra amici, compagni, studenti, sindacati, gruppi e associazioni (anche via face book ecc. che non riesco a seguire), e anche inviarmi commenti e idee. Grazie.

Basta manovre e cambiare l’Europa per tornare a crescere
di Sergio Cesaratto*
Senza dubbio la situazione è molto seria. Le agenzie di rating giudicano assai negativamente l’assenza di un governo autorevole e di prospettive di crescita per l’Italia. Naturalmente il paese da solo non può farcela, e servirebbe un contesto europeo diverso da quello che individua nei soli tagli di bilancio la via d’uscita. Come dimostra il caso greco, e ormai anche quello italiano, i tagli si traducono in minore crescita, e questa in minori entrate fiscali, in una inutile fatica di Sisifo. I costi sociali si fanno inoltre insopportabili. Ma come si fa a chiedere alla Grecia di licenziare 30 mila dipendenti pubblici e a operare ulteriori tagli a stipendi e pensioni in cambio della prossima tranche di aiuti? La reazione dettata dalla disperazione non potrà che essere violenta, mentre quel disgraziato paese già vede un raddoppio del suo tasso di suicidi (in aumento peraltro ovunque). De te fabula narratur. Ma cosa dovrebbe fare l’Europa?
Il ruolo della BCE
I fondi sinora stanziati dall’Europa a sostegno dei titoli dei paesi periferici sono stati viziati da un difetto di fondo: a mettere una quota cospicua dei fondi erano i medesimi paesi indebitati. Questo difetto si potrebbe ripercuotere anche sui famosi Eurobonds in quanto la minore affidabilità dei debiti della periferia potrebbe più che compensare quella dei paesi centrali. Solo un intervento forte e risoluto della BCE può tamponare la situazione e tranquillizzare i mercati, almeno nei riguardi di Italia, Spagna e Belgio. Questo significa che la BCE deve garantire in maniera assoluta i titoli del debito – dire: “acquistate tranquilli i titoli italiani, se ve ne vorrete sbarazzare troverete sempre in noi un compratore di ultima istanza”. Questo è quello che una vera banca sovrana europea sarebbe tenuta a fare. Invece a causa dell’opposizione tedesca la BCE è intervenuta tardi e senza risolutezza. Così i famosi spread non sono esplosi rimanendo, tuttavia, a livelli insostenibili per la tenuta dei conti. In più, essendosi la BCE riempita la pancia di titoli, ora i politici tedeschi mugugnano temendo che la BCE incorra in perdite. Ma questo ha poco senso in quanto essa può illimitatamente stampare moneta. Se un falsario stampa 100mila euro e li perde al gioco, ne può tranquillamente stampare altri 100mila.
Si paventa il pericolo d’inflazione, ma ciò è difficile in una recessione e la BCE quando crea liquidità acquistando titoli, altrettanta ne ritira offrendo alle banche un tasso remunerativo se esse depositano liquidità presso di essa. Inoltre un po’ d’inflazione, specie nei paesi forti, non farebbe che bene. Infine, se essa intervenisse risolutamente, probabilmente neppure dovrebbe acquistare titoli, basta dichiari di essere pronta a farlo in maniera illimitata. Facciamo pure gli Eurobonds, ma solo con la garanzia della BCE avrebbero successo.
Ma, si sostiene, se la BCE interviene non c’è il pericolo che i paesi periferici se ne approfittino per non riaggiustare i conti? Gli economisti chiamano questo moral hazard, ma di moralismo si muore. Senza dimenticare che la crisi del debito pubblico in Spagna e Irlanda nasce dalla necessità di coprire i debiti del settore privato e che tali debiti sono stati foraggiati dalle banche tedesche. Anche il governo greco era un protetto della Germania. Il debito italiano ha origini più antiche e non ha comunque a che fare con un eccesso della spesa sociale. Comunque in questo momento non ha senso prescrivere tagli di bilancio pubblico, anzi! Se con l’intervento della BCE i tassi si abbassassero, i debiti tornerebbero sostenibili e si potrebbe pensare alla crescita.
Il rigore è nemico della crescita
La crescita è la questione più complicata. La moneta unica ha messo insieme paesi forti e paesi deboli cancellando quel tradizionale strumento di aggiustamento della competitività che è il tasso di cambio. La ricetta europea è quella della cosiddetta “svalutazione interna”, i paesi deboli dovrebbero cioè tagliare i loro pezzi e salari, ma questa è una strada impraticabile e persino controproducente, come Keynes ci ha insegnato. Meglio sarebbe l’opposto, far crescere prezzi e salari nei paesi forti. Si rammenti peraltro che in Germania la distribuzione del reddito è assai sfavorevole ai salari e c’è povertà diffusa. Purtroppo c’è molta ignoranza fra politici ed economisti tedeschi e, soprattutto, la Germania non vuole dismettere il suo modello mercantilista basato sulle esportazioni e diventare, da vagone a rimorchio della spesa altrui (foraggiata dalle proprie banche), a locomotiva che espande la propria domanda interna. E’ una vecchia questione. Che il PD e SEL si diano da fare per interrogare la SPD sulle sue intenzioni una volta al governo. E nel frattempo l’Italia cosa dovrebbe fare?
Le manovre approvate non sono state solo inique, ma soprattutto inutili. Si ha purtroppo l’impressione che le mai specificate famose “dieci cose da fare” di un governo del dopo-Berlusconi invocate dai vari Casini, Di Pietro e, ahimè, Bersani, non siano che misure iper-liberiste di tagli e privatizzazioni affidate alla conduzione del Mario Monti di turno. Quello che farebbe un governo che avesse veramente a cuore i destini del nostro paese sarebbe invece: (a) di contrattare a muso duro una politica europea più espansiva e un risoluto intervento della BCE, impegnandosi (b) a stabilizzare il rapporto/debito Pil (cosa diversa dalla riduzione); e (c) a combattere l’evasione fiscale, imporre una imposta sui grandi patrimoni e tagliare gli sprechi , inclusi a quelli della politica, destinando i proventi alla riduzione del carico contributivo sul lavoro dipendente, a sollievo di salari e imprese, e all’istruzione che va massicciamente sostenuta. Se l’Europa dice di no, beh, sarà bene attrezzarci a Piani B, ma è una eventualità drammatica. Speriamo che la manifestazione del 15 ottobre degli “indignados” faccia propri questi obiettivi. Noi cercheremo di esserci.


1 commento:

  1. due punti che mi sembra TUTTI dobbiamo sempre tenere a mente, per non farci "infinocchiare" dai politici e dagli economisti al soldo di .....
    1) "la crisi del debito pubblico in Spagna e Irlanda nasce dalla necessità di coprire i debiti del settore privato e tali debiti sono stati foraggiati dalle banche tedesche" . quindi il problema NON E' IL DEBITO PUBBLICO, IL PROBLEMA E' IL DEBITO PRIVATO
    2) "in Germania la distribuzione del reddito è assai sfavorevole ai salari e c’è povertà diffusa." quindi IL MODELLO TEDESCO NON VA PRESO COME ESEMPIO perchè porta una POVERTA' DIFFUSA.

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