Domani (sabato 23 giugno) Left (ex Avvenimenti), che esce con l'Unità, pubblica alcuni contributi sulla crisi inclusa una intervista ad Antonella Stirati. Questo è l'articolo di apertura.
Per salvare l'Euro serve l'Europa politica?
Sergio Cesaratto
Dipende. Assolutamente no se per Europa politica si intende
ciò che ha più volte ripetuto Angela Merkel. L’Europa che ella prefigura è
assai inquietante: una definitiva espropriazione della libertà democratica dei
cittadini sulle decisioni in materia di bilancio, accentrate a Bruxelles. In
cambio la Germania propone un “fondo di redenzione” in cui i paesi metterebbero
in comune il debito eccedente il fatidico 60% del Pil, impegnandosi a restituirlo
in una ventina d’anni. Null’altro che un rafforzamento del cosiddetto Fiscal Compact già imposto da Berlino: due
decenni di austerità assicurata in una Europa divisa fra ricchi e poveri. E’
questa una prospettiva inaccettabile e disastrosa.
Più Europa servirebbe, invece, se l'obiettivo fosse quello
di assicurare la crescita delle aree più svantaggiate. Qualsiasi soluzione deve
invero rispondere al problema alla base della crisi: la moneta unica ha
aggravato i differenziali di competitività fra le economie europee deboli e
forti. Questo ha prodotto una decade di stagnazione e poi la crisi per l’Italia, mentre la Spagna
ha mascherato il problema dietro una crescita di carta, anzi di mattone,
finanziata da afflussi di capitali tedeschi e si ritrova oggi indebitata sino
al collo. In genere i sostenitori dell’Europa politica come salvifica
tralasciano tali problemi e ne trascurano i relativi costi e ostacoli politici,
provenienti soprattutto dai tedeschi.
Una Europa politica genuina e sostenibile implica infatti principi
di riequilibrio economico fra paesi e di perequazione sociale fra i propri
cittadini che possono essere realizzati in due modi. Il primo è una vera svolta
europea volta a: mettere assieme i debiti pubblici (eurobond) stabilizzando i
debiti pubblici nazionali, invece di ridurli; creare un bilancio federale degno
di questo nome per sostenere domanda, occupazione e ambiente; riformare la Bce
nella direzione del sostegno alla politica fiscale e sviluppo; fissare un
target di inflazione almeno al 4% con l’impegno tedesco ad attenersi a tale
obiettivo, dando spazio al recupero di competitività dei paesi periferici. In
alternativa si potrebbe procedere verso una “transfer union” che mantiene lo
status quo nelle competitività relative mentre i paesi forti redistribuiscono
alla periferia i proventi dei surplus commerciali sotto forma di congrui
trasferimenti monetari, in modo da realizzare una perequazione negli standard
di vita.
Mentre la seconda strada è chiaramente inattuabile, la
prima potrebbe essere tempestivamente perseguita. Ciò senza richiedere
premature ed eccessive cessioni di sovranità nazionale. Ma l’opposizione della
Germania a quelle ragionevoli misure è formidabile non volendo quel paese
abbandonare il proprio modello neo-mercantilista basato sulle esportazioni. In
verità c’è al momento un bailamme di proposte volte ad aprire un varco al muro
dei nein tedeschi. La confusione è
dunque grande e non promette nulla di buono e di tempestivo, mentre i mercati
non perdoneranno le mezze misure.
Di Sergio Cesaratto
L'Europa politica serve nella misura in cui non si vuole essere governati da burocrati e dalla impersonale entità quasi metafisica definita "i mercati"
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