sabato 19 novembre 2011

Trecento economisti per un salvare l’Europa

Sergio Cesaratto
Trecento autorevoli economisti italiani e stranieri, De Cecco, Nuti, Artoni, Bosi, Paladini, Pivetti per citare solo alcuni italiani, hanno sottoscritto un documento perché il nostro paese non accetti supinamente politiche errate e controproducenti che ci sono “richieste dall’Europa” e che  peggioreranno irrimediabilmente la crisi nostra e dell’Unione. Purtroppo il nuovo Presidente del Consiglio, la sinistra parlamentare e i suoi organi di informazione hanno lasciato alla destra, anche nel dibattito parlamentare, uno strumentale monopolio di queste idee.
I punti principali del documento degli economisti (consultabile con le adesioni al sito: http://documentoeconomisti.blogspot.com/) sono questi: 1) le misure di restrizione dei bilanci pubblici “richieste dall’Europa” hanno aggravato la recessione e la crisi finanziaria; attualmente l’Eurozona è senza una bussola e l’Italia è stata usata come capro espiatorio; 2) la crisi italiana non può essere affrontata se non nell’ambito di politiche espansive europee volte a riequilibrare gli svantaggi commerciali che sono seguiti alla moneta unica; il nostro paese non è la causa, né può tantomeno essere la soluzione della crisi europea; 3) prima che sia troppo tardi – forse lo è già – la BCE deve intervenire a garanzia illimitata dei debiti sovrani riconducendo a tutti i costi i tassi di interesse a livelli compatibili con l’attuazione delle menzionate politiche di ripresa; 4) tali politiche non possono che basarsi sul sostegno della domanda aggregata – in primis nei paesi in surplus commerciale; 5) in questo ambito il nostro paese, e gli altri “periferici”, si dovrebbe impegnare a stabilizzare il rapporto debito pubblico/Pil, respingendo con fermezza ogni ipotesi di inutili abbattimenti che annichilerebbero crescita, occupazione e standard di vita; con tassi di interesse sufficientemente bassi - e i tassi li fanno le banche centrali, se vogliono, e non i mercati – qualunque debito è perfettamente sostenibile (come in Giappone che l’ha doppio del nostro). I mercati capirebbero e apprezzerebbero mentre, come chiunque vede, non apprezzano il cilicio che Italia e Europa continuano a indossare stringendolo viepiù.
Scrivono inoltre gli economisti: “la riduzione dei tassi e la rimozione di inutili e controproducenti strategie di abbattimento del debito pubblico, nel quadro di politiche europee espansive,  libererebbe risorse per la crescita del paese sia dal lato della domanda interna che del rilancio della competitività. Tali risorse - assieme a quelle che dovranno provenire da una seria lotta all’evasione fiscale, da un'imposta che colpisca i patrimoni su base regolare e annua e non una tantum, e dalla razionalizzazione della spesa pubblica (inclusi i costi della politica) - vanno prioritariamente destinate alla riduzione del carico fiscale sul lavoro, con un aumento dei salari netti, al sostegno di istruzione, ricerca e cultura, agli investimenti per l’industria pubblica (da non svendere assolutamente all’estero), al Mezzogiorno, all’ambiente, all’efficienza della giustizia e della pubblica amministrazione, alla difesa della legalità.”
Qualcuno ci accuserà meschinamente di fare il gioco della destra, o di anti-Europeismo. Noi crediamo che a fare questo gioco, o a essere anti-europeista, sia proprio chi muove questa accusa. Le più autorevoli opinioni a livello internazionale sono dell’avviso che senza misure quali quelle sopra riferite l’Europa non ha speranza. Eppure lo spazio a livello internazionale per una alleanza con altri paesi europei, Francia in primis, v’è - ora che abbiamo un governo presentabile, qualità questa che però non può rimanere la sua unica. Opponendosi a qualsiasi soluzione ragionevole, la Germania si sta assumendo l’onere storico di far presto crollare l’Europa, non solo monetaria, ma politica. Spezzare questa deriva dovrebbe essere la responsabilità storica del nostro nuovo governo, non quella di impossibili fatiche di Sisifo di abbattere il debito rendendosi complice di tale deriva.

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