domenica 6 novembre 2011

L’Italia capro espiatorio del G-niente

Il recente summit del G-20 è stato il più privo di contenuti fra quelli sinora svoltisi. L’Europa si era presentata reduce dei risultati dell’ennesimo vertice europeo il 26 ottobre, il terzo a proclamare la risposta definitiva alla crisi europea, senza alcuna vera proposta di sostanza tranne il cappello in mano per chiedere un aiuto finanziario esterno ai paesi emergenti. Questi hanno risposto picche  sostenendo, giustamente, che l’Europa non ha bisogno di aiuti esterni e che se la deve vedere al suo interno: in particolare ci pensasse la Germania, col suo ampio surplus commerciale, a sostenere la periferia.


(Al riguardo, un consistente afflusso di capitali da Cina e paesi emergenti, un buon punto fatto da Michael Pettis (qui), è che comporterebbe una rivalutazione dell'euro danneggiando le esportazioni europee e peggiorando, dunque, la situazione (meno reddito europeo, meno entrate fiscali, peggioramento dei bilanci privati e pubblici). Contabilmente, infatti, in bilancia dei pagamenti un afflusso netto di capitali non può che essere compensato da un saldo negativo delle partite correnti.)
Il Presidente Obama è apparso particolarmente arrendevole. Più specificatamente non ha riproposto il ragionevole piano che il suo ministro del Tesoro Geithner aveva avanzato agli Europei lo scorso settembre per un intervento della BCE, ricapitalizzata attraverso il fondo salva-stati EFSF (abbiamo spiegato nel passato che questa della ricapitalizzazione della BCE è una finzione buona per i più ottusi deputati del Bundestag, ma le finzioni in politica servono). Venerdì 4 novembre erano girate voci di un asse franco-americano per un intervento più sostanziale della BCE – l’unica istituzione che, senza costi per nessuno, può garantire i debiti dei paesi periferici tranquillizzando i mercati e riducendo considerevolmente i famosi “spread” – ma a quanto pare non se n’è fatto nulla. Probabilmente sia Obama che Sarkozy sono anatre zoppe. L’incredibile risposta tedesca a un’altra proposta, che il Fondo Monetario Internazionale si assumesse lui le responsabilità proprie della BCE emettendo 250 miliardi di dollari di “diritti speciali di prelievo” (una lungimirante eredità di Keynes) che i paesi possono conteggiare fra le proprie riserve valutarie ed auree, è stata che “questo equivale a stampare moneta crea inflazione”. Ma che credibilità ha un paese che sa dire solo NEIN!.
L’Europa e con essa il mondo sono ora senza una bussola mentre la situazione non può che deteriorare. In questo frangente il vertice G-20, come era già successo all’ultimo vertice europeo ad opera della sarcastica coppietta Merkel-Sarkozy, non ha trovato di meglio che prendere l’Italia come capro espiatorio della situazione. Qui va detto a chiare lettere che in nessun senso e nessun modo il debito pubblico italiano è responsabile della crisi europea – è lì da svariati decenni senza aver mai creato crisi globali - semmai è vero l’opposto: è la crisi europea causata da una Unione Monetaria disegnata ad usum Germaniae ad aver creato problemi al nostro debito pubblico. Chi nega questo o è un incompetente o è un moralista in cattiva fede. La sinistra è invece succube dell’idea che il debito italiano sia una catastrofe e cause dei problemi dell’euro, succube di una Europa imbelle.
E’ anche chiaro che l’intervento della BCE potrebbe tamponare (“ora garantisco io, intanto voi attrezzatevi a sostenevi da soli”), ma non risolvere il problema di fondo che ha reso il debito italiano non sostenibile: la mancata crescita. All’interno dell’Europa c’è una periferia in deficit e in debito. L’aritmetica ci suggerisce che allora vi devono essere paesi simmetricamente in surplus e in credito. Il buon senso aggiunge che i primi possono tornare solvibili solo se i secondi agiscono in modo da renderli tali. Vi sono solo due modi in cui i forti possono farlo: o sussidiano i deboli con trasferimenti fiscali (la “transfer-union” temuta dai tedeschi), oppure rilanciano la domanda interna consumando di più, esportando di meno e importando nei confronti dei paesi deboli, e lasciando andare la loro inflazione (qui). Le politiche mercantiliste praticate dalla Germania sono incompatibili con l’unione monetaria, ma la Germania pretende di conservare i propri surplus e vedere i soldi indietro. Pensa invece che i deboli possano ritrovare la competitività perduta con tagli dei salari e della spesa sociale, politiche che portano disoccupazione, disperazione sociale, criminalità crescente, tagliano risorse a istruzione e ricerca e quant’altro, senza che essa muova un dito per aiutare.
Dunque un’Europa Made in Germany non ci aiuta a sostenere a breve il debito mentre ha determinato mancata crescita e insostenibilità del medesimo a lungo. Non di un professorino bocconiano alla Monti il paese ha bisogno, ma di una solida personalità di impronta keynesiana che si faccia valere in sede europea. Dovrebbe in quella sede imporre, con le dovute alleanze, che alla diminuzione radicale dei tassi sui debiti, conseguenza di una BCE vera banca sovrana europea (un passaggio epocale verso una vera unione europea che ne spezzerebbe l’impronta tedesca), si accompagni un obiettivo di stabilizzazione dei rapporti debito pubblico/Pil (non riduzione). In tutti i paesi, soprattutto in quelli forti, questo consentirebbe politiche di espansione della spesa pubblica e quel sostegno alla domanda senza cui non si cresce. In Italia altre risorse si libererebbero dall’imposizione sui patrimoni e dalla lotta all’evasione oltre che ai topi nel formaggio (nel privato come nel pubblico, inclusi i costi di politici non solo costosi, ma soprattutto incompetenti). Queste risorse vanno destinate, sia ben chiaro, alla diminuzione del carico fiscale sul lavoro dipendente e al sostegno all’istruzione non a ridurre il debito (che con tassi bassi e la ripresa della crescita smette di preoccupare). 
Vorremmo infine qui aggiungere che questo blog non individua nella Germania un nemico. Il punto è l'incompatibilità della sua costituzione economica con una unione monetaria. (1) Queste cose contan nulla, ma forse i tedeschi enoi con loro dovrebbero anche ricordare che il nazismo non fu frutto di una loro innata indole malvagia, ma della meschinità francese che impose su quel paese politiche deflazionistiche volte a estrarne più riparazioni di guerra possibile. Tutti sanno quanto Keynes si batté contro le misure puntive verso quel paese. Purtroppo ai tedeschi questo non viene rammentato - forse qualche dubbio su ciò che impongono agli altri paesi nascerebbe -, mentre la Bundesbank ha fabbricato (le memorie si inventano come Bossi insegna con la padania) la memoria dell'iperinflazione degli anni venti, che coll'avvento del nazismo ha nulla a che vedere. Quanto questa leggenda sia stata influente anche fuori della Germania, si legga questo resoconto sul WSJ delle ragione del rifiuto tedesco all'emissione di Diritti speciali di prelievo da parte del FMI a sostegno dei paesi indebitati: "German policy makers, and chiefly those at the Bundesbank, believed the plan amounted to a "monetization" of government debt, albeit at a global level. Basically, the IMF was going to print money that would ultimately end up being used to repay government debt, and for Germany, that's the original sin, the practice that led to its own bout of hyper-inflation and, ultimately, the rise of Adolf Hitler." L'iperinflazione è al principio degli anni venti, Hitler sale al potere dieci anni dopo a seguito dell'elevata disoccupazione!
(1) "German hypocrisy, in this regard, is problematic. German banks lent money to many countries to finance exports, which benefited Germany. Germany also gained export competitiveness from a weaker Euro – an exchange rate of Euro 1 = US$ 2.00 would be a realistic exchange rate if the Euro were to be a purely German currency. Reluctance to confront these problems makes a comprehensive resolution of the crisis difficult. ...The accepted view is that, in the final analysis, Germany will embrace fiscal integration or allow the printing of money. This assumes that a cost-benefit analysis indicates that this would be less costly than a disorderly break-up of the Euro-Zone. This ignores a deep-seated German mistrust of modern finance as well as a strong belief in a hard currency and stable money. Based on their own history, Germans believe that this is essential to economic and social stability. It would be unsurprising to see Germany refuse the type of monetary accommodation and open-ended commitment necessary to resolve the crisis by either fiscal union or debt monetisation." (qui)

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