domenica 24 luglio 2011

L'accordo europeo è un passo indietro

 Cari amici,
troverete oggi due articoli. Un commento all'accordo europeo, alquanto negativo. La BCE è la vera vincitrice: essa si disinteressa definitivamente della crisi europea per concentrarsi nella caccia ai fantasmi inflazionistici. Al riguardo, con Lanfranco Turci inviammo al Sole-24 Ore un commento a un apprezzabile articolo di Guido Tabellini (lo trovate nel blog) che perorava, appunto, un ruolo attivo della BCE. Non è stato pubblicato, lo facciamo qui. Peccato per loro, ma nemo profeta in patria. Buona lettura. Sergio
Il mondo sottosopra degli europei
Sergio Cesaratto
Che giudizio dare dell’ennesimo accordo di “salvataggio della Grecia” stipulato giovedì 21 giugno dai paesi europei? I mercati hanno già dato il loro venerdì 22: i differenziali fra i tassi sui BTP italiani e quelli sui Bund tedeschi erano alla chiusura 258 punti (2,58%), un livello insostenibile per il paese.
 Il verdetto dei mercati sull’utilità della manovra “lacrime e sangue” approvata in un malsano clima di unità nazionale era stato parimenti negativo. Esaminiamo per sommi capi l’accordo.
1. I due punti principali sono:
A) il coinvolgimento del settore privato nell’alleviare il carico debitorio della Grecia;
B) l’estensione dei poteri del European Financial Stability Facility (EFSF) già creato nel 2010 con migliori condizioni dei prestiti per i tre piccoli periferici, Grecia, Irlanda e Portogallo (GIP) e nuovi compiti.
2. Non diremo molto per ora circa primo punto che è quello più difficile da giudicare, e comunque volto a placare il Parlamento tedesco (che pensa che a sorreggere la Grecia = rimborsare le banche tedesche siano solo i contribuenti tedeschi!). Le banche hanno allungato la scadenza dei loro crediti e accettato qualche taglio. Evidentemente che i costi della crisi gravino sui profitti dei banchieri è un bene. In che misura accadrà è da vedere e ci torneremo. L’agenzia di rating Fitch ha già giudicato le perdite che le banche incorreranno come un “default selettivo” da parte della Grecia. Poco male, ma è evidente che i mercati non si fidano dei provvedimenti sub B e si attendono che qualcosa del genera accadrà anche per Portogallo e Irlanda – ma a quel punto il contagio a Italia e Spagna sarebbe drammatico -, ragione per cui i differenziali sui tassi pagati dai periferici non si sono ridotti che marginalmente. Comunque, c'è un balletto di cifre sul reale impegno delle banche. (Eurointelligence cita la Frankfurter Allgemeine Zeitung secondo cui le banche tedesche pagherebbero 1 miliardo di euro, le banche francesi 1,5 miliardi, e quelle greche ben 10 miliardi, per perdite complesssive delle grandi banche europee, secondo Bloomberg, di 20 miliardi. Ma allora l'aiuto alla Grecia da parte delle banche tedesche e francesi dov'è? e sarà lo ESFS a farsi carico delle banche Greche, vedi più sotto).
3. Veniamo dunque ai provvedimenti sub B. Lo EFSF (e lo European Stability Mechanism-ESM che lo seguirà dal 2013) sono fondi finanziati dai governi europei. Lo EFSF già ha elargito prestiti ai GIP (mi scuso per gli orribili acronimi ma accorciano).
Punto B1, ne elargirà degli altri alla Grecia, e tutti questi prestiti verranno ora allungati nella scadenza ed elargiti a tassi più bassi (3,5%).
A questi compiti se ne aggiungerà un altro, B2, importantissimo, quello di intervenire nei mercati per calmierarli ogni qualvolta si scateni una tempesta sui titoli pubblici (evenienza assai probabile). I miei studenti diranno: ma prof., questo è compito della banca centrale! Già, ci torneremo. In effetti alla BCE rimarrà il compito di decidere quando intervenire mentre il come lo EFSF lo farà è indefinito – vi lascio immaginare con quale tempestività tutto questo potrà avvenire, giorni laddove le tempeste finanziarie sono fulminee, come anche un bimbo sa. Di più, si interverrà a sostegno di titoli sovrani imponendo condizioni (le ennesime manovre restrittive) ai paesi: decise da chi non è dato sapere, così il nostro governo ha firmato l’ennesima cambiale in bianco all’Europa.
E, infine, B3, lo EFSF deve garantire il valore dei titoli greci anche se le agenzie di rating dovessero dichiarare il default parziale della Grecia. Si assicura in tal modo che la BCE possa continuare ad accettare titoli sovrani greci in cambio della liquidità necessaria alla sopravvivenza delle banche greche. Ma anche, guarda un po’, i governi europei garantiscono il valore facciale dei titoli greci già in pancia della BCE sicché, in caso di default, questa non incorre in perdite. In un mondo non up side down sarebbe la banca centrale a garantire i titoli pubblici. Last but not least, lo EFSF ha il compito di ricapitalizzare le banche.
4. Tutti questi impegni sono un bene in fondo, no? No, non lo sono. Questi fondi europei hanno un difetto congenito dal loro concepimento: a mettere i soldi sono anche i grandi paesi indebitati - in particolare Italia e Spagna. Quindi ogni lira che l’Italia presta alla Grecia mentre procrastina il redde rationem greca, aggrava la situazione debitoria italiana, avvicinando il redde rationem italiana. E che senso hanno fondi indirizzati a sostenere i titoli sovrani italiani in cui la stessa Italia deve emettere titoli sovrani per finanziare i propri titoli sovrani? E’ assai chiaro perché i mercati non si fidino. I soldi veri li mette solo la Germania, e in parte la Francia (che ricordate non è un paese che poi stia benissimo).[1] Per ora li mettiamo anche noi, ma indebitandoci, e a caro prezzo (vedi sotto punto 5). Per alleviare il debito di un fratello, un altro si indebita, i mercati ben capiscono che quella famiglia è inaffidabile. Di più. Ora lo EFSF ha ancora più compiti di prima, con le medesime (e in buona parte improbabili) risorse (v. NYT 25 luglio qui).
5. E qui una digressione fra il comico e il tragico, come si confà al nostro paese. Esso è ora nella condizione assurda di indebitarsi a 5 o 6% per prestare ai GIP al 3,5, bell’affare! (la Germania per contro si indebita al 2%  e presta al 3,5% con un guadagno netto). Se andate in un blog irlandese molto seguito, Irish economy, il fondatore del blog stamane (sabato 23) giubilava scrivendo: “Well thanks Silvio! If it weren’t for the comical actions of Signor Berlusconi, I doubt if we would have obtained yesterday’s long-hoped-for interest rate cut on our EU loans.” Non è chiaro cosa il comico nostrano abbia combinato. Di certo ha accettato provvedimenti penalizzanti per il nostro paese.
6. Tiriamo un po’ le somme. La vera vincitrice giovedì è stata la BCE (si veda il NYT).  Essa si è definitivamente sottratta al compito, proprio delle banche centrali, di sostenere il debito sovrano. Naturalmente la BCE ha difeso un ruolo (o un non ruolo) che l’architettura istituzionale europea le aveva sciaguratamente assegnato impedendole per statuto di intervenire a sostenere debiti sovrani pericolanti. Come ogni studente del primo anno di economia sa, sono tuttavia le banche centrali che devono intervenire nei mercati a sostenere i titoli sovrani. In un importante articolo Guido Tabellini ha sottolineato questo punto, sebbene non una novità per noi. Sono le banche centrali a essere i prestatori di ultima istanza del sistema bancario (anzi, come ricorda Mallaby sul FT, sono state inventate a questo scopo). Scriveva anche il Sole-24 Ore  : “Chi sarà il prestatore di ultima , si chiedevano inoltre gli investitori?”. E’ assolutamente improprio che tale ruolo sia stato attribuito all’EFSF, a parte le difficoltà tecniche e soprattutto le improbabili risorse sopra ricordate. Ed è assolutamente ridicolo, veramente capovolgere il mondo, che siano i governi a garantire i titoli detenuti dalla banca centrale e non viceversa. E’ vero che dio acceca chi vuole perdere!
7. Abbiamo ad nauseam scritto che il ruolo della BCE è assolutamente necessario per tamponare la crisi europea dei debiti sovrani.[2] Condivisibilmente Mallaby scrive sul FT di oggi (sabato 23):
The truth is that, even in America, crisis lending is mostly done by the central bank. In the dark days after the Lehman bust, Hank Paulson, Treasury secretary, begged Congress for $700bn of bail-out funds. He got it – but not before panicking the markets by being rejected the first time. Even then, the Treasury’s intervention was massively surpassed by the Federal Reserve, which pumped $3,300bn into distressed markets. It turns out that the best lenders of last resort are, in fact, the traditional lenders of last resort; central banks that do not have to deal with sluggish parliaments, but can print money. Their responsibility for financial stability is arguably equal to their responsibility for fighting inflation. Indeed, Europeans who gaze enviously at the US should recall that, when the Fed was established in 1913, its central purpose was crisis lending….
If Mr Trichet’s ECB really did emulate the Fed, the ring fence for Italy and Spain could be established instantly. He could simply declare that he stands ready to buy sovereign bonds issued by both. The combined net sovereign debt of Italy and Spain comes to around €2,200bn. Mr. Trichet could plausibly promise to buy the whole lot – which would guarantee he would never have to.”  (traduzione in fondo)
La sostanza delle ultime righe è: se Trichet desse la propria garanzia sulla redimibilità dei titoli sovrani europei, una barriera di sicurezza sarebbe stesa attorno al debito sovrano italiano e spagnolo, e la fiducia impartita ai mercati sarebbe tale che Trichet non dovrà mai in pratica intervenire.[3]
E perché concetti tanto elementari non vengono capiti dai governi europei? Ignoranza, certo, anche quella. Ma la questione è politica: la Germania non vuole una BCE modello FED americana, bensì modello Bundesbank tedesca, guardiamo della stabilità monetaria fondamento del mercantilismo di quel paese.
8. Per concludere. L’accordo di giovedì è un passo indietro proprio perché segna l’arroccamento della BCE in una posizione di mero guardiano del’inflazione e non di banca sovrana degli stati europei. Tant’è che dovremo attenderci in quel ruolo altri nefasti aumenti dei tassi di interesse.
9. Dulcis in fundo, in quegli accordi non c’è traccia – tranne un retorico accenno a un piano Marshall per la Grecia (put your money were your mouth is, direbbero gli inglesi) – a come affrontare le radici di fondo della crisi europea, aver costretto in un gold standard paesi dalla diversa forza strutturale che non possono più ricorrere agli aggiustamenti del cambio per ripristinare la loro competitività. Un bel pasticcio, il più difficile, da affrontare perché implica che la Germania muti modello. Ma se non lo si fa, neppure le proposte più adeguate per tamponare la crisi, quelle sopra delineate, potrebbero alla lungo risolvere un bel niente.
 I mercati anche questo sanno, come di nuovo nota Il Sole: “non c'è alcun progetto per coniugare la sostenibilità del debito dei singoli Paesi con la crescita dell'economia”. In verità né sostenibilità, né tantomeno crescita sono state assicurate. Intanto un passo in più si è compiuto verso il baratro europeo.
(questo commento è stato pubblicato anche da www.melogranorosso.eu accanto alla traduzione di quello di Yanis Varoufakis, grazie Lanfranco Turci!)

Tabellini visita il Levy Institute

di Sergio Cesaratto e Lanfranco Turci

L’articolo di Tabellini su Il Sole-24 Ore del 14 luglio ci appare uno spartiacque nelle posizioni sulla crisi europea sinora prevalenti su queste pagine, e una crepa fra quelli che, per comodità, definiamo economisti bocconiani. Dando ragione implicitamente agli avvertimenti degli economisti Minskiani del Levy Institute, Tabellini afferma che la solvibilità dei debiti sovrani è legata alla presenza di una banca centrale che li sostenga. Le analisi del Levy avevano infatti falsificato le tesi assai popolari degli economisti Reinhart e Rogoff che fissano una soglia del 90% del rapporto debito/Pil oltre il quale un default si farebbe probabile senza specificare che ciò è vero solo per paesi che rinunciano alla piena sovranità monetaria - come hanno fatto molti paesi europei a favore della BCE. Tabellini suggerisce dunque, con apprezzabile franchezza, che l’Europa deve decidere se la BCE è causa o soluzione del problema. Il disegno che Tabellini – sostenuto anche dal prof. Benigno sempre sul Sole – sembra suggerire è che: a) l’Unione Monetaria Europea (UME) si doti di una politica fiscale comune che, per cominciare, non può che consistere nel trasferimento di quota dei debiti sovrani a una istituzione europea che emetterebbe i famosi Eurobonds; b) la politica monetaria agisca in maniera cooperativa sostenendo i titoli del debito sovrano, operando come tradizionalmente agisce la banca centrale di uno stato sovrano. Si osservi che ciascun paese, sebbene si liberi di una quota del debito, continuerà a pagarvi gli interessi, ma minori per la garanzia europea e della BCE. In tal modo si sdrammatizzerebbe la crisi del debito senza creare alcuna “transfer union”. Dietro le posizioni espresse da Tabellini, Benigno, da noi su altri quotidiani e blog e un anno fa in una lettera di 250 economisti italiani c’è l’idea che la crisi sia stata conseguenza della stessa costituzione dell’UME che ha facilitato l’indebitamento della periferia, particolarmente nel settore privato (l’elevato debito pubblico italiano era preesistente).
Ancora prevalente è tuttavia una seconda impostazione che vede la causa della crisi nella dissipatezza degli stati (così gli interventi di Reichlin, e Perotti-Zingales). La periferia europea deve rendere il settore pubblico più efficiente, ma manovre di riduzione della spesa, oltre che foriere di instabilità sociale, sono recessive soprattutto se condotte su scala europea: manovra chiamerà manovra nella chimera di guadagnare credibilità presso i mercati – i quali san bene che questo aggiustamento è la classica fatica di Sisifo. Pericolosa ci appare poi la proposta di Perotti-Zingales di far cassa con le dismissioni delle aziende pubbliche – bocconcino appetibile perché agiscono in regimi semi-monopolistici. Male se gli acquirenti fossero italiani, pessimo se fossero stranieri (per sempre loro sarà la rendita su quelle attività).
Le proposte più solide per sdrammatizzare la situazione ci paiono dunque quelle di Tabellini e Benigno, un esempio, ci si consenta la digressione, di come la buona analisi economica non sia ortodossa o eterodossa – da cui un nostro appello a preservare la pluralità accademica delle idee. Al di fuori di quelle proposte rimane la questione di fondo di come far recuperare competitività ai paesi periferici. Gli impegni sulla crescita presentati dal Sole del 16 luglio si rifanno tuttavia prevalentemente alla seconda impostazione sopra delineata. Non potendo entrare nel merito di tutte le proposte, ci sembra che pur raccogliendo quella degli eurobonds, si tralasci il ruolo che una diversa politica monetaria dovrebbe avere nell’assicurare il successo di questa operazione (ruolo trascurato anche da V.Visco). Una politica monetaria più accomodante, suggerita da Tabellini, sosterrebbe anche la domanda aggregata, mentre un tocco di inflazione in più nei paesi più competitivi contribuirebbe al riequilibrio nell’Eurozona. Attraverso un mutamento profondo delle politiche europee, ciascun paese potrebbe trovare risorse e agire nel sostenere la propria modernizzazione in un clima di concordia sociale. Da noi le forze imprenditoriali non dovrebbero sfruttare la drammaticità dei giorni per fare i conti definitivi con uno stato sociale visto come avversario e non come elemento di cooperazione sociale, né dovrebbero sostenere riforme fiscali volte a mortificare ulteriormente i salari dei lavoratori. Dovrebbero invece favorire una svolta nella leadership politica verso il rigore intellettuale e morale, e l’apertura alle istanze sociali.


[1] In verità, essendo la Germania (e la Francia) piena di crediti inesigibili, è dubbio che persino la Gerrmania sia in grado di mettere soldi veri (come notavamo quando lo EFSF fu creato). In famiglia la soluzione non può essere trovata. La BCE è il deus ex machina della faccenda.
[2]  Mentre condividiamo del tutto le considerazioni sull’accordo di Yanus Varoufakis (traduzione qui) ci sembra che egli trascuri il ruolo chiave della BCE nella questione europea.
[3] Martedì 12 luglio, il martedì nero dei titoli di stato italiani, sono bastate voci dell’intervento della BCE per fermare la speculazione. Sappiamo ora che la BCE non è effettivamente intervenuta. Ciò dimostra come la semplice minaccia sia efficace.
Traduzione passo da FT:
“La verità è che, persino in America, i prestiti di emergenza sono sopratutto effettuati dalla banca centrale. Nei giorni bui del collasso della Lehman,  Hank Paulson, il segretario al Tesoro pietì 700 miliardi di $ al Congresso per i salvataggi. Li ottenne – ma non prima di spaventare i mercati all’iniziale rifiuto. Persino a quel punto, l’intervento del Tesoro fu massicciamente sorpassato da quello della Federal Reserve (la banca centrale americana ndr) che pompò 3.300 miliardi nei mercati così turbati. Si comprende così che i prestatori di ultima istanza sono, infatti, i tradizionali prestatori di ultima istanza; le banche centrali non hanno a che fare con farraginosi parlamenti, ma possono stampare moneta. La loro responsabilità nei riguardi della stabilità finanziaria è sullo stesso piano della lotta all’inflazione. In realtà, gli europei che osservano invidiosamente gli Stati Uniti dovrebbero ricordare che, quando la Fed fu creata nel 1913, il suo scopo centrale era di prestatore in tempi di crisi….
Se Mr. Trichet della BCE veramente emulasse la Fed, il recinto di protezione per Italia e Spagna sarebbe immediatamente creato. Egli dovrebbe semplicemente dichiarare che egli è pronto ad acquistare i titoli sovrani emessi da entrambe i paesi. Il debito sovrano combinato di Italia e Spagna assomma a circa $ 2.200. Mr. Truchet  potrebbe plausibilmente promettere di comprarselo tutto – il che assicurerebbe che egli non lo dovrà mai fare”

1 commento:

  1. Bel contributo, illuminante. Resta il problema della politica (come sfera, come ceto e come iniziativa).

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