Col titolo La cravatta di Tsipras. Quale morale dalla crisi greca? MicroMega on line ha pubblicato questo pezzo. La soddisfazione di vedersi pubblicati non è nell'articolo, ma nel veder passare il titolo proposto. E, come ho detto su FB, spesso scrivo solo per farmi un'idea veritiera delle cose, magari approssimativa, o almeno ci provo.
La cravatta di Tsipras. Quale morale dalla crisi greca?
Ma che piccola storia ignobile che mi
tocca raccontare…
“Atene respira” recitava il titolo de
il manifesto del 23 giugno, l’agitprop
di Tsipras in Italia. La Grecia “comincia a tornare ad essere padrona del
proprio destino” scrive Roberto Musacchio su FB (22/6) che proclama che “serve una battaglia di liberazione dell'Europa”, in linea
con Alfonso Gianni, sempre su il
manifesto, secondo cui la “questione
del debito non è solo greca o italiana, ma riguarda gli equilibri e il futuro
dell’Europa e a tale livello va complessivamente affrontata”. Insomma, la
Grecia ce l’ha fatta, ora cambiamo l’Europa. Purtroppo le cose non stanno così
e tali enunciazioni sembrano le cronache di quel giornalista di Saddam che
proclamava la vittoria coi carri americani dentro Bagdad.
Atto primo - Dalla tigre greca alla
crisi e al primo “salvataggio”
Vale
la pena ricapitolare un po’ l’accaduto di questi dieci o vent’anni. Com’è tradizionale
per i paesi in ritardo, negli anni dell’euro pre-crisi la piccola Grecia ha
fondato la sua crescita sull’indebitamento estero. Come abbiamo più volte
spiegato (Cesaratto 2018), tassi di
cambio fissi favoriscono i prestiti centro-periferia. Così fu nel gold standard,
così è stato nell’euro. Tale modello andava benissimo alla mercantilista
Germania (e alla Francia) che poteva così disporre di un piccolo ma prezioso
mercato per le proprie esportazioni (e infatti la Merkel andava a braccetto con
Karamanlis, il primo ministro greco di
centro-destra nel 2004-9). A differenza della Spagna, dove era una bolla
edilizia a guidare la crescita, in Grecia era soprattutto la spesa pubblica ad
assolvere a questo compito. La crisi da indebitamento scoppia nel 2009-10,
quando il socialista Papandreu rivela il conti falsificati dalla precedente
amministrazione in un contesto minato dalla grande recessione. I capitali
stranieri cominciano a fuggire dai titoli di Stato greci, e il paese è
sull’orlo del default (in pratica impossibilitato a
collocare sul mercato a tassi accettabili nuovi titoli in sostituzione di
quelli in scadenza). Anche se non esattamente così, la
lettrice identifichi debito pubblico e debito estero, vale a dire supponga che
tutto il debito pubblico greco fosse detenuto da stranieri (del resto, lo Stato
funge da garante di ultima istanza anche sul debito estero delle banche). Il
soccorso allo Stato greco attraverso fondi prestati bilateralmente dagli Stati
dell’eurozona e dal FMI fu chiaramente un salvataggio della banche francesi e
tedesche. Queste ultime erano già piene di titoli tossici americani e, così ci
si giustificò, non avrebbero retto all’urto di ulteriori perdite sul fronte
greco trascinando l’Europa in una (seconda) grave crisi finanziaria. Così il
FMI, nella parte a lui inusuale del buono, ingoiò il primo pacchetto di aiuti
(maggio 2010, dell’ordine di 110 miliardi di euro) chiaramente destinato a un
paese insolvente (vale a dire si stava gettando moneta buona dietro quella
cattiva). Alla Grecia si inflisse un primo pacchetto di misure di austerità e
di “riforme strutturali” del tutto inutile a riportare il paese su un qualche
sentiero di sostenibilità. Solo una robusta ristrutturazione del debito estero
– vale a dire un taglio di una parte significativa e dilazione del rimanente a
tassi agevolati – avrebbe potuto operare in questa direzione, pur mancando la
componente essenziale della svalutazione della moneta che tradizionalmente
completa i pacchetti di salvataggio marca FMI. La svalutazione aiuta infatti la
ripresa della competitività estera, alleviando il peso dell’austerità (cioè del
taglio della domanda interna) e agevolando il riaggiustamento delle partire
correnti - un paese indebitato deve realizzare un surplus esterno se vuole
lentamente restituire il debito estero. Senza svalutazione, invece, tale
riaggiustamento ricade tutto sulla contrazione della domanda interna, sì da
ridurre le importazioni, e sul taglio dei salari nominali per riacquistare
competitività. Questa è definita “svalutazione interna”. Al contrario,
tuttavia, di ciò che pensano gli economisti piddini (e i loro accoliti della
sinistra radicale e antagonista), la svalutazione interna è più dolorosa di
quella esterna perché richiede massicce dosi di disoccupazione e riforme del
mercato del lavoro sì da far accettare ai lavoratori il taglio dei salari.
Inoltre la deflazione comporta il fallimento dei debitori (imprese e famiglie
che vedono diminuire le entrate a fronte dei mutui da pagare) e di conseguenza
delle banche (come ben sappiamo in Italia).
Atti secondo e terzo – i pacchetti
2012 e 2015
A fronte dell’evidente impossibilità della
Grecia di far fronte alla restituzione del debito estero e del suo servizio
(pagamento degli interessi), nel marzo 2012 viene approvato un secondo
pacchetto di aiuti (ordine 200 miliardi) accompagnato da un taglio del debito
di circa 100 miliardi e da un “reprofiling” dei prestiti europei, la cui
restituzione viene differita di dieci anni (al 2023) a tassi più accettabili.
Il taglio colpisce però soprattutto i titoli detenuti dalle banche greche e dai
fondi pensionistici (comunque le banche tedesche e francesi erano state messe
al sicuro nel 2010). Sicché parte dei nuovi prestiti (circa 50 miliardi) viene
destinata a ricapitalizzare le banche greche che sarebbero altrimenti fallite.
Insomma il taglio del debito fu in parte fittizio – a fronte del taglio di 50
miliardi di debito pubblico, lo Stato greco si trovò con 50 miliardi di debito
estero di più – mentre il resto del taglio colpì le pensioni (quelle private).
La solita lista di misure di austerità (surplus di bilancio primari di mole
impossibile) e di “riforme” (tagli di diritti sociali, pensioni pubbliche in
primis) accompagnò il pacchetto.
Nel
luglio 2015, dopo le drammatiche vicende che conosciamo, la Troika accordò alla
Grecia altri 80 miliardi, sì da consentirle la restituzione dei prestiti FMI in
scadenza, allungando la lista di tagli e “riforme”.
Arriviamo
così al giugno 2018, scadenza del terzo pacchetto. Il 23 giugno viene stipulato
un nuovo accordo che prevede una nuova dilazione decennale del debito estero al
2033 (la precedente scadeva nel 2023) senza alleviare i tassi praticati. Gli
inglesi lo chiamano “extend and pretend”: estendi i termini della restituzione
e fai finta che verrà pagato; oppure “kick- the-can-down- the-road”, dai un
calcio alla lattina giù lungo strada, ovvero differisci il problema. Che v’è
dunque da festeggiare se una vera ristrutturazione del debito non c’è stata?
Certo, vi sono gli “sweeteners”, come la restituzione da lungo attesa dei 4,8
miliardi di interessi che la BCE ha conseguito sui titoli greci acquistati nel
2010 -11, che è però subordinata alla realizzazione di significativi surplus di
bilancio primari – sicché l’impronta macreconomica resterà di forte austerità
fiscale – ed di altre “riforme” (incluso un ulteriore tagli delle pensioni dell’1%).
Il mantenimento di surplus fiscali del 3,5% del Pil sino al 2022 e del 2,2%
sino al 2060, cioè 42 anni di austerità fiscale, è giudicato peraltro “mission
impossible” dal FMI. Per il dispiacere di Musacchio e Gianni la Troika (ops! le
istituzioni) non se ne andranno affatto dalla Grecia che continuerà ad essere
un Paese commissariato.
La
verità è che la Grecia è impossibilitata a pagare il debito estero, quindi è
persino sbagliato dire che il periodo di grazia le dia respiro. In verità
proprio perché non può pagare, né ora né mai, avrà un cappio al collo per
decadi affinché viva delle sole proprie risorse. Poi, certo, chissà come sarà
il mondo nel 2033 ed oltre. Il debito tedesco fu definitivamente liquidato,
come da accordi stipulati nel 1953, dopo l’unificazione, quando era ormai
noccioline per la Germania (Cesaratto 2018, p. 65): ma possiamo aspettarci altrettanto
per la povera Grecia? L’attesa è che il debito greco serva a guadagnar tempo
all’Europa e diventi per essa “peanuts”, e venga perciò in parte condonato
senza proteste dell’elettorato. Ma questo non potrà accadere prima del 2033,
condannando il paese ad almeno 15 anni di austerità fiscale.
La morale
Che
morale trare da questa vicenda.
Alla luce di un inquadramento storico di lungo periodo, la recente vicenda
greca è quella di un piccolo paese che per la quarta volta (almeno) in due
secoli di indipendenza è incorsa in un default sul debito estero, con
conseguente deflazione interna e perdita di sovranità (Reinhart e Trebesch 2015). Una via
nazionale allo sviluppo, senza indebitamento esterno, è certamente possibile ma
richiede una serie di fattori non presenti in Grecia: istituzioni giuste (come
una classe politica adeguata e orientata allo sviluppo, e sufficienti livelli
di istruzione); risorse naturali (che in Grecia non vanno probabilmente molto
oltre alle bellezze naturali); aiuti esterni. Alcuni di questi fattori sono
stati per esempio presenti in alcuni paesi asiatici – dotati di un
“developmental State” (una borghesia nazionale che guida lo sviluppo attraverso
l’apparato pubblico), e oggetto di un particolare sostegno esterno americano
che ha anche aperto il mercato alle loro esportazioni. Per contro la Grecia ha
svolto nell’euro funzione di complemento al mercantilismo tedesco che, attraverso
forme di “vendor finance”, ne finanziava la domanda per le proprie
esportazioni. Questa storia comporta per una sinistra pensante riflettere sui
fattori dello sviluppo economico, di domanda quanto di offerta. Per l’Europa si
tratta di pensare a politiche regionali di sviluppo più incisive, una volta
assunta la responsabilità, che non è solo greca, di quanto accaduto. Già ma
quale Europa? Cos’è l’Europa se non un consesso di nazioni rivali e litigiose.
Ma questo è il mondo, ci piaccia o no. E se il mondo è brutto, è bene cercare
di governarlo prendendone atto, e ponendo la cura del proprio interesse come
premessa al compromesso. La sinistra vive, tuttavia, in un
mondo parallelo in cui ci si raccontano le favole di Esopo, ed è per questo
destinata alla scomparsa in un mondo di adulti.
Riferimenti
Cesaratto, S. (2018) Chi non rispetta le regole? Italia-Germania,
le doppie morali dell’euro, Imprimatur, Reggio Emilia.
Reinhart, C. M. and Trebesch, C. (2015), ‘The Pitfalls of External Dependence: Greece, 1829–2015’, NBER
Working Paper no. 21664.
Roos, J. (2018) Why the debt deal with the EU is bad
for Greece, https://www.aljazeera.com/indepth/opinion/debt-deal-eu-bad-greece-180624082950318.html
La domanda, che ci portiamo dietro dal 2015, è: perché Tsipras ha assecondato tutto questo?
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