martedì 9 gennaio 2018

Gramsci, Sraffa e Marx: un commento di Screpanti


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In questa bella, rigorosa e approfondita recensione Cesaratto sintetizza così bene gli argomenti sviluppati da de Vivo che verrebbe quasi voglia di dire: letta la recensione non c’è bisogno di leggere il libro. Ma non lo dirò, perché l’opera è veramente importante e va letta con attenzione. E consiglio di leggerla in parallelo con un'altra opera importante: P. Sraffa, "Lettere a Tania per Gramsci" (a cura di V. Gerratana), Editori Riuniti, Roma 1991. Il testo di de Vivo delucida un’ampia serie di problemi storiografici, teorici e politici su cui anche alcune menti eccelse si sono perse. La più importante di tutte le questioni controverse riguarda il rapporto di Sraffa con il pensiero di Marx. De Vivo contribuisce a chiarire che il lavoro teorico dell’amico di Gramsci va letto come tutto interno al marxismo e anzi come un contributo originale alla rinascita della teoria economica Marxista. È servito a riportare la critica dell’economia politica agli alti livelli di rigore analitico e dignità teorica che gli spettano e dal quale erano stati allontanati da alcuni giudizi fuorvianti di economisti marginalisti e dalle difese superficiali di alcuni epigoni.
Un commento di Ernesto Screpanti alla mia recensione al libro di De Vivo


Un problema molto importante riguarda il rapporto di Sraffa con il pensiero di Ricardo. Su tale questione regna ancora il massimo di confusione, sia tra gli economisti marxisti che tra i marginalisti, confusione che viene normalmente espressa nella tesi secondo cui Sraffa sarebbe un neoricardiano. De Vivo chiarisce bene che la principale e fondamentale fonte di Sraffa è "Il capitale" di Marx, e non "I principi" di Ricardo, ma avrebbe forse dovuto approfondire la seconda parte della proposizione. Nell’equivoco di uno Sraffa neoricardiano sembrerebbe non essere caduto il papa dell’economia neoclassica del Novecento, Paul Samuelson. Questi sostenne che l’economista italiano di Cambridge era un grande economista purtroppo guidato dal desiderio di validare a tutti i costi Marx. Il che potrebbe essere considerato un complimento se non fosse che lo stesso Samuelson accusò di Marx di essere nient’altro che un ricardiano minore. Ora, si dà il caso che Sraffa, oltre ad aver sviluppato una critica alla teoria ricardiana del valore e del capitale nella sua Introduzione a "I principi", in "Produzione di merci" cita l’economista inglese in due paragrafi dell’appendice D. Lo fa a proposito del modello grano-grano e della merce media e soprattutto per richiamare la sua concezione del sovrappiù come grandezza fisica, senza dimenticare di riportare la valutazione positiva di Marx. Dopo di ché lancia uno strale contro Ricardo osservando che la propria “merce tipo” (a differenza della “merce media” di Ricardo stesso) equivale “proprio a qualcosa che si approssima alla misura generale proposta da Adam Smith, cioè ‘il potere d’acquisto sul lavoro’”, ovvero il lavoro comandato. Lo strale colpisce anche Marx il quale, pur apprezzando il concetto di “lavoro comandato”, non lo ha mai capito a fondo, non al punto di rendersi conto che invalida la teoria del valore-lavoro (dimostrando che funziona solo in un’economia non capitalistica). In altri termini Sraffa non si limita a mettere in equazioni rigorose la teoria del valore ma lo fa in modo tale da depurare Marx da quel residuo di ricardismo che ne faceva un “ricardiano minore”. Insomma, Marx era ancora troppo ricardiano e Sraffa lo libera da questa pecca.
In una lettera del 30 maggio 1932 Gramsci scrive: “si può dire che Ricardo abbia contribuito a indirizzare i primi teorici della filosofia della praxis al loro superamento della filosofia hegeliana e alla costruzione del loro nuovo storicismo, depurato di ogni traccia di logica speculativa? A me pare che si potrebbe tentare di dimostrare questo assunto e che varrebbe la pena di farlo. Prendo lo spunto dai due concetti, fondamentali per la scienza economica, di ‘mercato determinato’ e di ‘legge di tendenza’ che mi pare siano dovuti al Ricardo” ("Lettere a Tania", 77). Ahimé, anche Gramsci aveva le idee un po’ confuse su questo tema. Sraffa lo bacchetta subito, scrivendo che vorrebbe “avere qualche spiegazione sui due concetti di ‘mercato determinato’ e ‘legge di tendenza’, che Nino considera fondamentali e che, mettendoli fra virgolette, sembra attribuire loro un significato tecnico: confesso che non capisco bene a che cosa si riferiscano, e quanto al secondo, io ero abituato a considerarlo piuttosto come una delle caratteristiche dell’economia volgare. Ad ogni modo è molto difficile apprezzare l’importanza filosofica, se vi è, di Ricardo, perché egli stesso, al contrario dei filosofi della praxis, non si ripiegava mai a considerare storicamente il suo proprio pensiero. In generale egli non si pone mai dal punto di vista storico e come è stato detto considera come leggi naturali ed immutabili le leggi della società in cui vive. Ricardo era, e restò sempre, un agente di cambio di mediocre cultura.” ("Lettere a Tania", 74).

 Pubblichiamo un importante commento che Ernesto Screpanti ha postato su Facebook

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