venerdì 12 aprile 2013

Il Thatcherfesto

Mentre in prima pagina si dichiara anti-Thatcheriano, lo Sbilanfesto pubblica una risposta di tal Tonino Perna a Tiziano Cavalieri (un allievo di Garegnani) che avrà arrecato sollievo alla signora di ferro nei fuochi dell'inferno. Lo Sbilanfesto non si rivela solo confuso, ma pericoloso, filo-Montiano, o a esser buoni filo-Napolitano. Invito chi ancora lo compra a inviare lettere di protesta chiedendo più rigore e assumendo come riferimento gli economisti critici (come Pivetti, Antonella Stirati, Brancaccio, Zezza o, si parva licet, chi scrive) minacciando di smettere definitivamente di acquistarlo.

Cavalieri e Perna da Il manifesto 10 aprile 2013. Segue contro-replica di Cavalieri (dalla postazione da cui scrivo non so se pubblicata).

Caro direttore,
sul «manifesto» si legge tutto e il contrario di tutto, segno di uno spaesamento che lascia spaesati. Cesaratto scrive una cosa, Tonino Perna l'opposto . Non è il caso di metterli a confronto faccia a faccia? Detto questo, rilevo che Perna (vedi «il manifesto» di domenica 7aprile) si pone di fronte al debito dello stato nello stesso modo in cui si pone un'impresa (...). Perna ritiene che non si debba far ripartire la spesa pubblica come volano di una ripresa dell'economia. Devo notare che quando scrive così si trova in compagnia dei tagliatori di teste. Tuttavia se ne distingue proponendo una «ristrutturazione chiara e netta del debito pubblico» tessendo alleanze con gli altri paesi strozzati dal debito.

Quel «chiara e netta» dice tutto e niente, siamo in attesa di capire quali provvedimenti propone. Una strada potrebbe essere la svalutazione del debito attraverso una crescita dei prezzi, si tratta della strada indicata da Keynes in contemporanea ad una ripresa economica ottenuta non penalizzando i salari. Perna può andare a vedersi, se non lo ha già fatto, la lettera del 1926 di Keynes al ministro delle finanze francese. Svalutazione del debito e crescita della domanda interna, questi due elementi sono quelli seguiti dagli Stati uniti per uscire dall'indebitamento determinato dalle spese del periodo di guerra, un periodo durato trent'anni senza problemi. Si può vivere senza problemi con il debito pubblico e il suo incremento se il debito in scadenza e il nuovo sono rifinanziati come fin qui era avvenuto (il debito crea col reddito anche i risparmi che lo finanziano). Questa possibilità di non trovare ostacoli al rifinanziamento esiste nella misura in cui l'economa cresce ed il saggio di crescita è superiore al saggio di interesse, ed è per questo che occorre che ci sia un'autorità che tiene sotto controllo i saggi di interesse.
Non posso dilungarmi (la discussione inserirebbe un altro problema, ossia l'equilibrio dei conti esteri) ma vorrei fare a Perna tre domande: 1) quale sarebbe il livello del reddito del nostro paese senza la crescita della domanda pubblica (che vuol dire spesa per la sanità e la scuola tanto per intenderci) finanziata in disavanzo? 2) Non sembra contraddittorio da un lato opporsi al pareggio di bilancio e dall'altro ritenere inutile far ripartire la spesa pubblica? 3) Supponiamo che si azzeri il debito, ebbene cosa assicura che i livelli occupazionali crescano, che la disoccupazione si azzeri, che i tassi di attività crescano a livello europeo, se non si fa leva sulla spesa pubblica, che ripeto vuol dire creazione di beni comuni o, per come li chiamo io, beni pubblici?
Tiziano Cavalieri
 
Caro Cavalieri, grazie per queste note critiche che mi consentono di precisare meglio quello che volevo dire.
Per prima cosa io non sono contrario all'aumento della spesa pubblica, ma sostengo che in queste condizioni, sotto questa montagna del debito, la crescita della spesa pubblica in deficit fa aumentare l'onere del debito(già quest'anno pagheremo circa 100 miliardi di interessi!), accrescendo la quota che va a remunerare la rendita finanziaria. Solo riducendo drasticamente lo stock del debito pubblico possiamo far ripartire la spesa dello stato e degli enti locali.
Come? Gli strumenti sono diversi e conosciuti. La Grecia, ad esempio,ha ottenuto un taglio netto di 130 miliardi (dimostrando che è possibile!), ma ha dovuto pagare questo «sconto» con una drastica politica di tagli del welfare, per ragioni ideologiche e punitive, non di certo economiche. Si potrebbero utilizzare gli eurobond, come suggerivano Prodi e Quadro Curzio, dando in garanzia l'oro posseduto dalle banche centrali, si potrebbe costituire una bad-bank per assorbire una quota di titoli di stato di tutti i paesi dell'Eurozona.
E' una questione di rapporti di forza tra le due parti in cui oggi è divisa l'Europa. Non c'è una via d'uscita nazionale a questa crisi, ma solo una forte alleanza tra i paesi più indebitati può portare ad una soluzione politica della crisi finanziaria. Per quanto riguarda Keynes, viene citato spesso a sproposito. La sua ricetta di una spesa in deficit, che rompeva negli anni '30 il tabù del pareggio di bilancio, aveva un carattere congiunturale. Keynes si interessava del «breve periodo» e della funzione anticiclica della spesa pubblica, ma non ha mai scritto che si potesse/dovesse seguire la strada di un deficit/debito dello stato che cresca senza limiti nel «lungo periodo». Come nell'economia reale non esiste una crescita infinita, così non esiste un debito pubblico che possa crescere all'infinito. Ed è questo il nodo gordiano che dobbiamo affrontare.
Tonino Perna 


caro direttore, 
la cortese risposta di Perna alla mia lettera mostra
come sia necessario approfondire il tema del ruolo e sostenibilità del
debito pubblico confrontando le diverse opinioni , confronto che non
può avvenire attraverso uno scambio di lettere. La risposta di Perna si
presta ad alcune osservazioni che la prego di trasmettere . Perna
sostiene che non è possibile una nuova spesa pubblica in disavanzo
perchè "fa aumentare l'onere del debito", per il fatto che lo stock di
debito crescerebbe. Tutto questo è opinabile, infatti se il
moltiplicatore della nuova spesa fa aumentare il reddito più degli
interessi che si pagano l'onere del debito è sostenibile, non occorre
emettere nuovi titoli per finanziarlo. L'obbiettivo di puntare ad una
stabilizzazione del rapporto prodotto-debito e la sostenibilità
dell'onere del debito dipendono da due circostanze: il moltiplicatore
della spesa pubblica ed il saggio di interesse. Da qui l'importanza di
tenere bassi i saggi di interesse da parte delle autorità monetarie. Se
si guarda agli anni passati, il debito pubblico italiano balza ad alti
livelli a causa degli alti saggi di interesse che si determinano dopo
che Andreatta decide che la banca centrale non sia più sottoposta al
Tesoro per cui lo Stato si deve finanziare sul libero mercato. Andreatta
(su questo c'è uno studio di V. Maffeo) sceglie questa via per contenere
la spesa pubblica in beni e servizi . Il debito crebbe soprattutto per
gli alti tassi di interesse e non per la spesa pubblica ( come dimostra
il fatto che negli anni 2000 sono ricorrenti gli avanzi primari di
bilancio). Il problema quindi sta nel controllo del saggio di interesse.
Il fatto è che la BCE non ha questo compito, bensi quello di
controllare l'inflazione tenedo alti i tassi contro ipotetici incrementi
salariali. Perna rinvia la ripresa della spesa pubblica a quando avremo
la forza di trasferire il debito dei singoli paesi con alto
indebitamento sui bond europei o su altri Stati dell'eurozona. Ci dice
che in Grecia è avvenuto, ma non spiega perchè l'esempio greco sia
auspicabile. Mi sembra che il caso greco indichi come i paesi dominanti
dell'eurozona sono disposti a trasferire l'onere della rinegoziazione
del debito sui loro bilanci (mettendo in sicurezza le proprie banche)
contro tagli alla spesa pubblica, che significa azzeramento del settore
pubblico dell'economia. L'unione monetaria europea è nata con questo
scopo e con lo scopo dichiarato della deflazione salariale (come ha
dichiarato Robert Mundel). L'altro punto da approfondire e che perna
solleva è quello dei limiti di sostenibilità del debito. Perna scrive:
"non esiste un debito pubblico che possa crescere all'infinito".
L'affermazione mi sembra priva di significato, infatti occorre
rapportare la crescita del debito a qualche cosa d'altro per poterla
misurare. Ed allora dovremo rapportare lo stock del debito pubblico
alla ricchezza sia pubblica che privata (quest'ulima rappresenta una
base imposistiva nell'ipotesi che si presenti una difficoltà nel
rifinanziamento del debito) e dovremmo rapportare l'onere del debito al
prodotto interno ed alla dinamica di questo rapporto. Il limite di
sostenibilità non è definibile stabilendo a priori un raporto fra debito
pubblico e pil, debito pubblico e ricchezza, il limite si manifesta
quando si fugge dai titoli pubblici in quanto si fugge dalla moneta
(non mi dilungo, il tema è trattato da Roberto Ciccone nel libro 'debito
pubblico, domanda aggregata e accumulazione'). In ultima Keynes, che
avrei citato a sproposito. Perna scrive che Keynes "si interessava del
breve periodo e della funzione anticiclia della spesa pubblica". Il
Keynes di Perna assomiglia a quello a cui lo riducono gli economisti
post keynesiani che lo vogliono recuperare all'impostazione marginalista
. Il cuore della teoria di Keynes è che i risparmi dipendono dagli
investimenti e questi dalla domanda finale e che in generale, come
recita il suo scritto, i risparmi effettivi sono normalmente minori dei
risparmi di pieno impiego, sono fenomeni che si manifestano normalmente
e provocano effetti di lungo periodo (si veda Garegnani) altro che breve
periodo (mi fermo non ho più spazio) 


Tiziano Cavalieri

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