Anche a scopo didattico, pubblico alcune note sul Piano strutturale di bilancio che il governo sta discutendo con la Commissione Europea. Una sintesi è apparsa su Il Fatto del 31 ottobre 2024.
La nuova governance fiscale europea fra mezze verità e metafisica
Sergio Cesaratto (Unisi-Deps)
Con il voto del Parlamento europeo e del Consiglio della UE, nell’aprile 2024 sono stati adottati i testi legislativi che delineano la nuova governance economica dell’Unione [1]
Obiettivi
L’obiettivo generale è portare il rapporto fra il debito e il PIL su una traiettoria plausibilmente discendente o mantenerlo su livelli prudenti, nonché per portare o mantenere il disavanzo al di sotto del 3 per cento del PIL nel medio termine.
Allo scopo ciascun paese deve presentare un Piano strutturale di bilancio (PSB ) che definisca il percorso di consolidamento necessario per realizzare gli obiettivi.
Al centro del nuovo assetto vi sono le analisi di sostenibilità del debito pubblico nel medio termine e il confronto tra ogni Stato membro e la Commissione per la definizione di una politica di bilancio appropriata, anche in relazione a piani di riforme e di investimenti. In tal modo si intende superare la logica delle regole valide per tutti (vedremo che non è poi così).
Obiettivi specifici
Il PSB deve assicurare che per gli Stati con un debito pubblico superiore al 60 per cento del PIL o con un disavanzo superiore al 3 per cento del PIL (come l’Italia) alla fine del periodo di consolidamento:
(i) il debito pubblico in rapporto al PIL si deve collocare su una dinamica plausibilmente decrescente nel medio termine o mantenersi su livelli prudenti al di sotto del 60 per cento;
(ii) il disavanzo pubblico resti al di sotto del 3 per cento del PIL nel medio periodo. L’aggiustamento di bilancio implicito nel percorso di spesa netta ha una durata minima di quattro anni, estendibile fino a sette nel caso in cui il paese si impegni ad attuare specifiche riforme e investimenti che, tra gli altri obiettivi, favoriscano la sostenibilità delle finanze pubbliche.
Il periodo di aggiustamento è di quattro anni, ma può essere esteso fino a sette se lo Stato membro si impegna a realizzare riforme e investimenti sufficientemente dettagliati, temporalmente definiti, verificabili e da realizzare in larga parte nella prima fase del Piano.
Obiettivi di “salvaguardia”
Al fine di assicurare la riduzione del debito in rapporto al PIL e la sua successiva capacità di assorbire shock negativi, il percorso della spesa netta deve soddisfare due ulteriori salvaguardie numeriche comuni a tutti i paesi della UE. In sostanza si tratta di due obiettivi che irrigidiscono le due già esposti.
(i) La salvaguardia relativa alla sostenibilità del debito richiede che, durante il periodo di aggiustamento, il debito si riduca in media di 1 punto percentuale di PIL all’anno per gli Stati membri con un debito superiore al 90 per cento del PIL e di 0,5 punti l’anno per quelli con debito compreso tra il 90 e il 60 per cento del PIL.
(ii) La salvaguardia di resilienza sul deficit richiede che il consolidamento di bilancio garantisca il conseguimento di un disavanzo strutturale di bilancio non superiore all’1,5 per cento. Per saldo strutturale di bilancio si intende al netto della componente ciclica e delle misure una tantum. Tale livello è considerato un margine di resilienza rispetto alla soglia di indebitamento del 3 per cento del PIL. Il miglioramento annuale del saldo primario strutturale richiesto per raggiungere tale margine di resilienza dovrà essere pari a 0,4 punti percentuali nel caso di un percorso di aggiustamento di 4 anni e a 0,25 punti percentuali nel caso di un percorso di aggiustamento di 7 anni. In caso di disavanzo superiore al 3 per cento del PIL (come nel caso dell’Italia) si dovrà tuttavia prevedere un aggiustamento strutturale minimo di 0,5 punti percentuali all’anno (aggiustamento strutturale, ossia al netto della componente ciclica e delle misure una tantum).[2]
Circa queste due regole di salvaguardia nota il Ministro Giancarlo Giorgetti nella premessa politica al PSB:
[alle nuove regole], su insistenza di numerosi Stati membri, sono state sovrapposte delle clausole di salvaguardia mutuate dal vecchio PSC [Patto di stabilità e crescita], sia pure meno restrittive soprattutto per quanto riguarda il cosiddetto braccio preventivo del Patto. Nel braccio correttivo resta il vincolo per i Paesi con deficit eccessivi di migliorare il proprio saldo strutturale di almeno 0,5 punti percentuali di PIL all’anno. È opportuno evidenziare che proprio tale previsione ‘ereditata’ dal vecchio PSC si applica al nostro Paese, soggetto a Procedura di Deficit Eccessivo (PDE). Tuttavia, nei primi tre anni di applicazione delle nuove regole la Commissione potrà tenere conto dell’eventuale aumento della spesa per interessi per attenuare tale vincolo.
Nel braccio preventivo il miglioramento minimo del saldo strutturale è inferiore a quanto sarebbe stato richiesto dal vecchio PSC e la riduzione media annua minima del rapporto debito/PIL per Paesi con debito maggiore del 90 per cento del PIL è di un punto percentuale, anziché di un ventesimo della differenza rispetto al parametro del 60 per cento, che nel caso dell’Italia avrebbe richiesto un calo di circa 4 punti percentuali quest’anno.[3]
Strumenti
Ai paesi il cui debito o disavanzo superi le soglie stabilite dal Trattato di Maastricht (rispettivamente il 60 e il 3 per cento del PIL) la Commissione proporrà una traiettoria (tasso di crescita nominale) di riferimento pluriennale della “spesa netta”. Quest’ultima è la variabile chiave per il monitoraggio dell’attuazione del Piano.
La spesa netta è la spesa pubblica al netto di quella per interessi (oltre che delle misure discrezionali sul lato delle entrate, della spesa per i programmi dell’Unione interamente finanziata dai fondi dell’Unione, della spesa nazionale per il cofinanziamento di programmi finanziati dall’Unione, della componente ciclica per le indennità di disoccupazione [che plausibilmente includono le erogazioni della Cassa integrazione guadagni), delle misure una tantum e di altre misure temporanee].
Il conto di controllo e le procedure sanzionatorie
Una volta concordato con la Commissione il tasso di crescita della spesa netta nominale compatibile con il raggiungimento degli obiettivi (la logica la vedremo fra poco), la successiva sorveglianza europea prevede un conto di controllo dove verranno registrate le eventuali deviazioni annuali della spesa netta dal percorso di crescita stabilito.
Qualora le sue deviazioni rispetto al percorso concordato superino 0,3 punti percentuali del PIL in un singolo anno, oppure 0,6 punti cumulativamente nel corso di un singolo Piano, e la posizione di bilancio non sia prossima al pareggio o in avanzo, potrebbe essere attivata la Procedura per i disavanzi eccessivi basata sul debito. In questo caso verrebbero richieste correzioni almeno altrettanto ambiziose di quelle adottate nel Piano e tali, di norma, da correggere gli scostamenti accumulati. L’attivazione della Procedura per i disavanzi eccessivi sulla base del disavanzo rimane invece invariata rispetto al precedente quadro di regole.[4]
La logica retrostante la scelta dell’andamento della spesa netta come indicatore
La spesa netta sarà l’unico indicatore rilevante per il monitoraggio sul rispetto del percorso proposto dallo Stato membro e approvato dal Consiglio della UE. L’aggiustamento di bilancio annuale verrà espresso in termini di tassi di crescita annuali della spesa netta nominale. Qual è la logica?
Tranne che in miei articoli lo scorso autunno,[5] non ho trovato mai una spiegazione aperta della logica della regola. Questa non viene ben spiegata al pubblico perché farlo è politicamente dannoso (fornito di una spiegazione chiara, il pubblico ne capirebbe la perversità sociale).
Curiosamente il Ministro Giancarlo Giorgetti si avvicina a una spiegazione esauriente (ma bada bene a completarla). Sempre nella premessa politica al PSB egli scrive:
l’obiettivo di saldo primario strutturale è perseguito tramite una regola di spesa netta nella logica secondo cui, se le uscite della PA che il Governo è in grado di programmare crescono meno del PIL nominale durante il periodo di aggiustamento, il rapporto tra saldo primario e PIL tenderà a migliorare al netto di oscillazioni dovute a fattori esogeni o temporanei ai quali è inopportuno rispondere con misure di bilancio che rischiano di risultare pro-cicliche.
Cominciamo intanto con lo spiegare questo: un Paese (come qualsiasi soggetto) fortemente indebitato come l’Italia paga moltissimi interessi sul debito, in particolare dal 2022 col rialzo dei tassi, attualmente il 3,9% del PIL all’anno ci informa Giorgetti. Anche se il saldo primario del bilancio pubblico fosse in pareggio, cioè la differenza fra le entrate fiscali e le spese a esclusione di quelle per gli interessi, sarebbe quest’ultima spesa per interessi a mandarci in disavanzo.[6] In queste condizioni violeremmo tutti gli obiettivo di bilancio che abbiamo accettato, sia in termini di disavanzo, che come debito su PIL (per pagare gli interessi dovremmo infatti accendere nuovo debito). La soluzione, in prima approssimazione, sembra essere dunque di conseguire degli avanzi primari da utilizzare per pagare gli interessi e magari restituire un po’ di debito.
Sia nei riguardi del rapporto disavanzo/PIL che debito/PIL la questione è in realtà più complessa in quanto le misure di conseguimento di avanzi primari incidono sia sui saldi di finanza pubblica che sul PIL, e dunque non si sa bene dove vanno quei rapporti (ci torniamo sopra più avanti). In base a modelli molto neoclassici si fanno comunque delle stime circa questi effetti perversi e dunque circa l‘andamento atteso del PIL. Un’altra variabile su cui le previsioni pluriennali sono poca affidabili è quella sui tassi di interesse, che sono una causa primaria dei disavanzi.
Data dunque (e non concessa) una certa traiettoria del PIL, per conseguire degli avanzi primari, a parità di gettito tributario si devono ridurre le spese primarie (spesa sociale, per l’istruzione, sicurezza, infrastrutture ecc.). Si può supporre che dato l’andamento atteso del PIL (sempre stimato in base ai detti modelli previsivi) e a parità di regole tributarie, le entrate fiscali crescano al medesimo tasso atteso. Ne consegue che dati gli obiettivi di bilancio da raggiungersi in un prefissato numero di anni, i necessari avanzi primari di bilancio non possano che risultare da una crescita della spesa primaria inferiore a quella attesa delle entrate tributarie (pari, a regole invariate, a quella attesa del PIL).
Secondo le cifre di Giorgetti, in base ai calcoli del MEF, validati dall’Ufficio Parlamentare del Bilancio (UPB) e proposti alla Commissione, la spesa primaria nominale potrà aumentare nei prossimi sette anni dell’1,5% all’anno (in media), Questo significa che con un’inflazione prevista dal MEF al 2% (che è anche l’obiettivo della BCE) la spesa reale diminuirebbe di -0,5% annui. Con un tasso atteso (dal MEF) di crescita del PIL reale attorno all’1% ovvero nominale del 3% (1% più 2% di inflazione), le entrate tributarie crescerebbero anch’esse al tasso reale dell’1% (ovvero 3% nominale), ben superiore a quello della spesa sì da consentire gli avanzi primari atti a realizzare gli obiettivi concordati con la Commissione europea.
In sintesi, se si intende realizzare un avanzo primario le spese primarie devono crescere a un tasso inferiore a quello delle entrate tributarie che, a parità di norme tributarie, è pari alla crescita del PIL. Nella fattispecie italiana, dati gli alti debito e fabbisogno (quest’ultimo fondamentalmente dovuto al pagamento degli interessi), la spesa deve crescere a un tasso reale negativo. Gli avanzi primari devono coprire buona parte della spesa per interessi, la restante parte, nei limiti dei disavanzi consentiti, è coperta a disavanzo. Il tutto con la speranza che la riduzione della spesa pubblica reale, una componente molto importante della domanda aggregata, non uccida la crescita del PIL facendo peggiorare anziché migliorare il rapporto debito pubblico/PIL.
Effetti sociali
Un tempo si chiamavano le promesse del Pievano Arlotto quelle che fa Giorgetti (e la Meloni) circa la spesa sanitaria:
Il Governo si impegna a salvaguardare il livello della spesa sanitaria assicurandone una crescita superiore a quella dell’aggregato di spesa netta.
Il governo parla di crescita nominale, ma quella reale è una decrescita! In termini reali la decrescita sarà di - 0,3% invece di -0,5%, facendo naturalmente diminuire a un tasso superiore a -0,5% altre voci (come istruzione, assistenza, pensioni, sicurezza ecc.), per esempio -0,6% o – 0,7%. Che bel risultato! Come nota Alberto Zanardi su LaVoce.info (10 ottobre 2024) il governo dovrebbe informarci su quanto accadrà ai bilanci pubblici dei prossimi anni.
Esercizi metafisici (sulla nostra pelle)
Naturalmente tutte queste analisi, e le relative cifre del governo e della Commissione esposte in complicate tabelle, sono esercizi metafisici basati su assunzioni piuttosto arbitrarie in un mondo pieno di instabilità geopolitica che la politica estera europea, schierate dalla parte sbagliata dei conflitti, contribuisce a destabilizzare.
Sarebbe in ogni caso opportuno che Governo e Commissioni informassero i cittadini circa i conti sulla tovaglia della trattoria, ora esposti, che anche la casalinga di Voghera, abituata ai conti della spesa, può benissimo capire. Non lo si fa perché, come ha ammesso il Ministro Giorgetti (per poi smentirsi), si tratta di tracciati lacrime e sangue.
I moltiplicatori fiscali (effetti retroattivi delle politiche di aggiustamento)
Un’ipotesi su cui si basano i conti sopra esposti suscita particolare curiosità relativamente ai cosiddetti “moltiplicatori fiscali”. Questi misurano nel modello macroeconomico l’effetto negativo che le politiche di rientro dagli squilibri di finanza pubblica hanno sull’andamento del PIL. Effetti negativi non li nega nessuno, il problema molto dibattuto è: quanto negativi? Se ne discusse molto la scorsa decade quando molti studi segnalarono impatti molto elevati e tali da vanificare lo sforzo fiscale di riaggiustamento (se il PIL cala in seguito ai tagli di spesa, sia si mortificano le entrate fiscali, che il denominatore dei rapporti debito/PIL e disavanzo PIL diminuisce facendo peggiorare il rapporto ecc.). L’austerità espansiva di Alberto Alesina e Mario Monti si rivelò una sciocchezza (pagata amaramente dai cittadini). Avendo poco imparato la lezione, non sorprende che la Commissione adotti nei propri modelli un moltiplicatore fiscale piuttosto basso (0,75) sì da attenuare gli effetti sul PIL dell’austerità.[7] Curiosamente, tuttavia, il governo lo adotta ancora più basso (ma non offre quantificazioni). Il documento del governo specifica:
[La] metodologia … adottata dalla Commissione… è contraddistinta da una estrema semplificazione, funzionale a disporre di un unico strumento utilizzato per definire le traiettorie di tutti gli Stati membri. … anche a causa dell’utilizzo di un moltiplicatore molto elevato, [si] genera un profilo di crescita reale estremamente contenuto lungo gli anni del Piano, deprimendo il gettito fiscale. A causa di ciò l’aggiustamento strutturale della finanza pubblica assicurato dalla moderazione del tasso di crescita della spesa genera un notevole ritardo, nelle proiezioni sottostanti la traiettoria di riferimento della Commissione, in termini di miglioramento del deficit.
Insomma, un tempo si criticava la Commissione per i moltiplicatori troppo bassi, ora la si critica per stimarli troppo alti. Che succede? Il governo ritiene evidentemente che con un impatto negativo troppo forte su PIL ed entrate fiscali, la traiettoria di crescita della spesa primaria nominale (lo strumento di aggiustamento) dovrebbe essere ancora più modesta, dunque con tagli maggiori o la necessità di maggiori imposte (una crescita nominale della spesa dell’1% invece dell’1,5%, con un’inflazione al 2%, significa per esempio un calo reale annuo di -1%).
Nel documento dell’UPB si legge al riguardo: “Nelle simulazioni della Commissione, tale impatto di ‘retroazione’ è relativamente elevato a causa del moltiplicatore utilizzato, più alto di quello medio risultante dai modelli in dotazione al MEF e all’UPB”. E’ curioso che MEF e UPB (un organismo indipendente di controllo) concordino sul valore del moltiplicatore.
Ricerche indipendenti[8] mostrano invece come i moltiplicatori fiscali adottati dalla Commissione siano troppo bassi, non troppo alti come vogliono Governo e UPB. Lo studio di Gechert, Guarascio, Heimberger, Schütz e Zezza (cit.), oltre a un moltiplicatore di 0,9 (rispetto allo 0,75 della Commissione) ipotizza anche che gli effetti negativi dell’austerità permangono più a lungo rispetto a quanto assumono le fonti ufficiali. Questi autori includono anche il risultato composto di misure di austerità contemporaneamente adottate nei diversi Paesi europei, interazione che costituisce un ulteriore fattore depressivo. Lo studio conclude che con ipotesi più severe (e realistiche) l’impatto negativo sul PIL delle misure fiscali sarebbe notevole e tale da peggiorare (e non migliorare) il rapporto Debito/PIL. La sfiducia dei mercati finanziari davanti a tale fallimento economico potrebbe riflettersi in una nuova crisi di fiducia sulla tenuta dei conti di alcuni Paesi come l’Italia, con aggravio della spesa per interessi, come accadde nel 2011 e 2012. All’epoca l’Italia fu sull’orlo di uscire dall’euro per evitare di consegnarsi alla (allora) celebre Troika (Commissione europea, BCE, Fondo monetario internazionale) e finire come la Grecia. Oggi non ci sarebbe neppure più un Draghi a impedirci di affogare. (Nei corridoi della Tower della BCE a Francoforte si ammette liberamente che senza una profonda riforma della governance fiscale europea l’euro è a termine).
Come questo quadro si concili con la necessità europea di tenere il passo con Cina e Stati Uniti, come evidenziato dal Rapporto Draghi, non è dato sapere. Banca d’Italia osserva al riguardo “la mancanza di un effettivo coordinamento delle politiche di bilancio per la gestione del ciclo macroeconomico dell’area nel suo complesso e l’insufficienza di investimenti a livello europeo per i casi in cui esistono economie di scala ed esternalità significative tra paesi. Entrambi i problemi potrebbero essere affrontati con la creazione di una capacità di bilancio centrale permanente adeguatamente disegnata”
Quale alternativa? Politiche tributarie e tassi di interesse
Nell’attesa dell’Araba Fenice di un bilancio federale europeo, ci si dovrebbe battere con più vigore in Europa per correggere le assurdità del nuovo PSC. Questo richiede però più credibilità relativamente alle politiche interne ponendo fine, in particolare all’ingiustizia fiscale che l’attuale governo opera a favore del lavoro autonomo (e di categorie varie come balneari o tassisti). Questo favore si esplica nell’ampia tolleranza dell’evasione fiscale e con un regime tributario assolutamente sfavorevole al lavoro dipendente. La perequazione del trattamento fiscale fra le due categorie del lavoro consentirebbe anche un aumento delle entrate fiscali negli anni prossimi, evitando draconiani tagli di spesa.
Il fronte dei tassi di interesse è poi l’altro fronte critico per i conti pubblici italiani. Gran parte delle fonti di tensioni inflazionistiche coi loro effetti sui tassi di interesse hanno origine geopolitica. Anche in questo caso è interesse dell’Italia (e dell’Europa) di mutare indirizzo nei conflitti in corso.
[1] Nella sua parte descrittiva questa nota attinge spesso
letteralmente ai seguenti documenti: Governo italiano, Piano strutturale di
bilancio di medio termine, 27 settembre 2024, https://www.mef.gov.it/export/sites/MEF/inevidenza/2024/Piano-strutturale-di-bilancio-e-di-medio-termine-Italia-2025-2029.pdf; Ufficio Parlamentare del Bilancio,
Audizione della Presidente in ordine al Piano strutturale di bilancio di medio
termine 2025-2029, https://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2024/10/UPB_Audizione-PSB-2025-29.pdf; Banca d’Italia, La nuova governance di bilancio europea, box in https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/relazione-annuale/2023/index.html. Di originale c’è il ragionamento economico.
[2] Vi sono invero altre due clausole a cui può ricorrere un Paese impossibilitato a rispettare gli impegni. Sono infatti previste due clausole di salvaguardia che consentono di deviare dal percorso di aggiustamento senza incorrere in una Procedura per i disavanzi eccessivi: una, generale, in caso di grave recessione economica nell’area dell’euro o nell’Unione nel suo complesso; l’altra, nazionale, attivabile su richiesta dello Stato membro qualora circostanze eccezionali al di fuori del suo controllo determinino un forte impatto sulle finanze pubbliche.
[3] Sul vecchio PSC si veda Luca Fantacci e Andrea Papetti, Il debito dell’Europa con se stessa. Analisi e riforma della governance europea di fronte alla crisi, Costituzionalismo.it, FASCICOLO 2 | 2013 (in rete).
[4] La procedura per disavanzo eccessivo basata sul criterio del debito viene attivata nel caso le deviazioni registrate nel conto di controllo siano superiori ai valori indicati nel Regolamento del braccio correttivo appena modificato. La Commissione valuterà l’opportunità di raccomandare una procedura per disavanzo eccessivo qualora il rapporto tra debito pubblico e PIL superi il 60 per cento, il saldo di bilancio non sia vicino al pareggio o in avanzo15 e le deviazioni registrate nel conto di controllo superino 0,3 punti percentuali di PIL su base annuale e 0,6 punti percentuali di PIL su base cumulata16.
L’attivazione della procedura per il mancato rispetto del criterio del disavanzo è rimasta invariata. La procedura viene attivata nel caso in cui il disavanzo osservato nell'anno precedente al monitoraggio superi il 3 per cento del PIL e se tale deviazione non sia considerata né eccezionale né temporanea.
[5] Si veda per esempio l’articolo sul quotidiano Il Fatto: http://politicaeconomiablog.blogspot.com/2023/12/nella-notte-europea-tutti-i-patti-sono.html.
[6] Attualmente il saldo primario è di poco negativo per cui gran parte del disavanzo è infatti dovuto alla spesa per interessi.
[7] Un moltiplicatore di 0,75 significa che 1€ di taglio di spesa genera una diminuzione di PIL di “solo” 0,75€. Le entrate tributarie dunque caleranno, ma molto meno di 1€ di taglio di spesa, sicché nel complesso si realizza un avanzo di bilancio. Naturalmente la manovra ha effetti negativi su occupazione e welfare.
[8] Sebastian Gechert, Dario Guarascio, Philipp Heimberger, Bernhard Schütz and Francesco Zezza, An analysis of the new European fiscal rules, 15th October 2024, https://www.socialeurope.eu/austerity-at-our-doorstep-an-analysis-of-the-new-european-fiscal-rules.
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