giovedì 31 ottobre 2019

Sei lezioni di economia: the remake


"Via ch'eccolo", scrivevo nel settembre 2016 echeggiando il grido dei ceraioli eugubini, annunciando le Sei lezioni. Mi portò fortuna. Come forse saprete l'editore Imprimatur ha cessato le attività dopo la scomparsa di Vincenzo Rizzo, che voglio qui ricordare per la sua umanità, sensibilità politica e grande esperienza professionale maturata agli alti livelli di importanti case editrici. La seconda edizione (riveduta) del libro esce con una nuova casa editrice, Diarkos, anche guidata da persone di grande professionalità, a cui auguro grande fortuna. Chi già avesse la prima edizione è esentata/o dal ricomprarselo. Però potete sempre regalarlo, per farselo poi prestare e rileggerlo. Qui sotto l'introduzione alla seconda edizione. Buona lettura.

PS l'introduzione è stata scritta appena prima della fine dell'alleanza giallo-verde, e delle ulteriori nubi sull'economia europea.


Introduzione alla nuova edizione
Questo libro è nato in un particolare momento storico per l’Italia. L’elevato tasso di sviluppo economico del secondo dopoguerra è andato nei decenni affievolendosi sino alla recente crisi europea e alle relative assurde misure che ne sono seguite, che hanno lasciato il Paese più impoverito, sfiduciato, invecchiato, e non solo in un senso demografico. Questi anni di crisi hanno tuttavia stimolato migliaia di persone, in particolare giovani, a cercare di capire le ragioni economiche della crisi e delle politiche adottate. Sono stati, in sintesi, gli anni di una riscoperta di massa di Keynes. Questa presa di coscienza si è diffusa, com’è ovvio, attraverso i social network ed i blog. Ad essa ha anche contribuito la diffusione delle idee keynesiane della Modern Monetary Theory (se ne parla nella quarta lezione), così come i libri e il blog di Alberto Bagnai, docente di economia e successivamente Presidente della Commissione finanze del Senato.

Bagnai ha scelto di militare nelle fila della Lega, un partito di destra e liberista. Ma cosa ha fatto la sinistra italiana, europeista e cosmopolita, per trattenerlo? Per ciò che mi riguarda, la mia militanza nella sinistra non è mai stata messa in discussione. Il mio seggio parlamentare continua ad essere rappresentato da ciò che scrivo e dalla mia militanza universitaria.

Il lavoro divulgativo di economisti eterodossi come me si è intensificato a partire dal 2009. La necessità che ho col tempo sentita è che la diffusione delle analisi economiche keynesiane, pur importante per la critica alle politiche economiche monetariste prevalenti in Europa, fosse accompagnata da una conoscenza più profonda della critica dell’economia politica dominante che gli economisti eterodossi conducevano da svariati decenni, anche indipendentemente dalla lezione keynesiana.

L’analisi economica eterodossa, pur minoritaria, è però molto composita. Nel suo ambito mi sembra che la scuola eterodossa più rigorosa e completa sia quella che si rifà alla lezione di Piero Sraffa, l’amico di Antonio Gramsci e di Wittgenstein a cui Keynes offrì rifugio a Cambridge per sfuggire al fascismo. Il rigore di Sraffa è leggendario, e la sua impronta rimane sul pensiero della scuola. La completezza dell’impostazione sraffiana deriva dal fatto che essa procede, nella sua pars destruens, a una critica analitica esauriente della analisi neoclassica (o marginalista come preferiremo dire) dominante; mentre nella sua pars construens propone sia una teoria dei prezzi e della distribuzione del reddito alternativa a quella dominante (ripresa dagli economisti classici e da Marx), che un’analisi del livello e crescita del reddito e dell’occupazione che perfeziona quella keynesiana.
Le prime tre lezioni sono dunque finalizzate a presentare in termini accessibili questa impostazione e confrontarla con l’approccio dominante. Obiettivo del libro rimane tuttavia anche quello di dotarsi degli strumenti per comprendere la crisi europea e per criticare le politiche economiche adottate in Europa negli anni trascorsi.

Attraverso la quarta lezione dedicata alla moneta, e in particolare alla sua concezione “endogena” che accomuna economisti eretici e banchieri centrali, ci si avvicina alle politiche economiche, e in particolare a quelle monetarie, adottate in Europa dal 2008. Le politiche monetarie sono state le uniche veramente operose per contrastare la crisi, seppur con molti ritardi in particolare all’apice della crisi nel 2010-12, successivamente compensati dall’attivismo di Mario Draghi. La politica fiscale europea ha invece remato contro. La governance fiscale europea è inoltre diventata un groviglio di regole oscure per i cittadini. Queste regole hanno ampliato l’invadenza dell’Europa nelle decisioni di bilancio nazionali.

Le ultime due lezioni sono dunque destinate a rendere accessibili i principali eventi che hanno riguardato l’unione monetaria europea, e le ragioni che rendono difficilmente pensabile un serio cambiamento in direzione keynesiana del vecchio continente. Parte della quinta lezione è dedicata al caso italiano, domandandosi come ha fatto un paese che nel secondo dopoguerra era giunto a recuperare gran parte dello svantaggio con l’Europa del nord a trovarsi oggi in una drammatica impasse. Alla base della crisi italiana v’è stata l’incapacità del paese di rendere armoniche le relazioni sociali interne e l’aver cercato di supplire a tale incapacità con il tentativo di importare la disciplina dall’estero attraverso regimi di cambio fissi. Mi dicono che l’ultima lezione riesce anche a spiegare la questione di TARGET2, un episodio della crisi europea che nel 2011-12 diede luogo a un arcano dibattito fra gli economisti, ma che è molto importante per capire bene gli eventi della crisi.

Il libro ha avuto un ottimo risultato di mercato, con tre ristampe. Questa riedizione non apporta cambiamenti strutturali all’impianto appena descritto. Numerose sono tuttavia le piccole integrazioni volte a chiarificare e completare gli argomenti. Alla prima lezione è stato aggiunto un approfondimento relativo alla “trasformazione dei valori in prezzi” in Marx anche in relazione a Sraffa. Quando iniziai a studiare economia la “trasformazione” era la prima palestra di economia. Vale dunque la pena riesporre la questione nei medesimi termini in cui noi l’apprendemmo.

Cos’è cambiato nella situazione europea dalla prima edizione del libro nel settembre 2016?
La previsione di alcuni di una reazione populista a decenni di politiche neoliberiste si è avverata, in Europa con la Brexit e la vittoria di Movimento Cinque Stelle e Lega in Italia; negli Stati Uniti con la vittoria di Trump. Il movimento degli Indignados in Spagna precedette questi eventi, quello dei gilet gialli in Francia l’ha succeduto (sebbene come una meteora). “El momento Polanyi” ho definito questi eventi - un’espressione che è piaciuta molto al mio amico spagnolo Manolo Monereo (intellettuale comunista, mentore di Pablo Iglesias ed ex deputato di Podemos). Come nelle aspettative di Polanyi, tuttavia, non è stata la sinistra a guidare la protesta elettorale, bensì la destra.

La sinistra italiana da un lato appare sempre più debole, dall’altra è lacerata al suo interno fra chi è attaccato agli ideali di internazionalismo e cosmopolitismo, e chi invece, senza rinnegare quegli ideali, ha riscoperto l’importanza della sovranità nazionale come difesa della democrazia popolare. Mio maestro in questo è stato Massimo Pivetti, che già in tempi non sospetti ha denunciato il disegno europeo quale sottrazione degli strumenti di politica economica ai singoli Paesi, e dunque come svuotamento del conflitto distributivo e della democrazia. Pensare a una democrazia sovranazionale fra Paesi molto diversi, in primo luogo economicamente, vuol dire assecondare questo disegno liberista. Piaccia o meno, le classi lavoratrici appartenenti a Paesi a diversi livelli di sviluppo non sono disponibili a condividere il proprio benessere. In mezzo fra le classi e l’umanità c’è la nazione, per parafrasare Friedrich List (l’originale è citato nella quinta lezione). La destra questo l’ha capito e strumentalizzato a proprio vantaggio (che non è quello dei ceti popolari). La sinistra tradizionale non l’ha capito e predica un solidarismo cosmopolita inviso alla gente che la rende impopolare ed espressione delle sole élite cosmopolite.

Dall’avvio del Quantitative Easing l’economia europea ha visto una fase di ripresa, ma con differenze significative fra i Paesi. L’Italia, in particolare, è risultata il fanalino di coda. Più ligia di altri Paesi al rigore fiscale, l’Italia avrebbe necessità di una forte ripresa della domanda interna. Questo sarebbe possibile se la Banca Centrale Europea e forme di mutualizzazione europea del debito assicurassero un pieno sostegno ai titoli di Stato italiani abbassandone il rendimento al livello tedesco, ciò che consentirebbe una moderata politica di spesa in disavanzo senza aggravare il già elevato rapporto debito pubblico/PIL. In assenza della possibilità di svalutare la propria moneta, sarebbe anche necessario all’Italia una forte espansione europea tirata dalla Germania.

Purtroppo Berlino ha invece accentuato le sue politiche restrittive conseguendo addirittura avanzi di bilancio fiscale, mentre i suoi surplus di bilancia dei pagamenti hanno raggiunto livelli grotteschi (usando l’aggettivo utilizzato al riguardo già negli anni cinquanta da un commentatore americano). Questo ha scatenato le giuste comprensibili ire di Donald Trump. Il presidente francese Macron ha nel frattempo avanzato delle timide proposte di riforma dell’eurozona a cui si è contrapposto un fermo nein della Germania. L’orientamento che sembra emergere è quello di un piccolo sostegno europeo ai paesi che rispettino i vincoli fiscali. È probabile che l’Italia si opporrà a questa pseudo-politica di bilancio europeo. Ma forse neppure questo minimo sindacale l’Europa riuscirà a proporre. Questa riedizione ci consente di ritornare su alcune di queste vicende più recenti.

Al di là delle attuali contingenze europee, il mio auspicio è che questo libro sia soprattutto utile alla parte più consapevole delle nuove generazioni per comprendere l’esistenza di impostazioni alternative nella teoria economica, in particolare quelle che si rifanno alla lezione di Keynes, degli economisti classici e di Marx. La preparazione intellettuale dei giovani e la loro conoscenza del pensiero critico è la maggiore speranza che abbiamo per un mondo migliore.

Roma, 18 agosto 2019

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