Sergio Cesaratto, economista critico italiano, tra i
più noti a livello internazionale, è professore ordinario di politica
monetaria e fiscale dell'Unione economica e monetaria europea, economia
della crescita e post-keynesian economics all'università di Siena.
Il suo ultimo saggio è intitolato “Chi non rispetta le regole? Italia e Germania, le doppie morali dell' euro”.
Professor Cesaratto, secondo lei chi è che non rispetta le regole europee?
«L'
idea del libro è che quello che non ha funzionato in Europa non è certo
colpa dell'Italia. L'Italia ha messo in campo una operazione di
risanamento fiscale già dagli anni Novanta, prima dell'euro. Risanamento
pagato molto caro: è calata la domanda interna, la produttività non è
cresciuta, è stagnata se non diminuita. L'Italia ha fatto uno sforzo
enorme, pagato con tagli alla spesa pubblica e effetti negativi sulla
domanda interna.
La
Germania invece con l'euro ci ha guadagnato, ha perseguito una sua
vecchia politica di tenere l'inflazione più bassa degli altri. Con
sistemi di cambi fissi come l'euro, gli altri Paesi hanno rinunciato
alla possibilità di svalutare, di guadagnare competitività. La Germania
ha guadagnato con la crisi del 2008: l'euro si è indebolito e ha
rafforzato le esportazioni tedesche»
La Germania ha contribuito all' esplosione della crisi?
draghi merkel
«Certamente.
La crisi è stata causata dall' indebitamento di alcuni Paesi europei
periferici: Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda. Questi Paesi ricevevano
prestiti dalla Germania, che si traducevano in acquisto di beni
tedeschi. Una politica mercantilista, quella di Berlino: tenere bassi i
salari interni, così i profitti sono alti, e il sovrappiù dei prodotti
viene venduto all'esterno. Ma è una politica che ha le gambe corte: i
Paesi periferici vedono crescere il loro debito, c'è scarsa fiducia
sulla loro capacità di restituirlo e scoppia la crisi. Il modello
tedesco è incompatibile con un' unione monetaria. Il problema dell'
Europa è la Germania, non l'Italia».
Come dovrebbe cambiare l'Europa?
«La
Germania dovrebbe espandere di più il proprio mercato interno,
aumentando i salari, ma la verità è che i tedeschi non vogliono fare la
locomotiva. La locomotiva dell' economia mondiale sono gli Stati Uniti,
che con la loro domanda interna tengono su l'economia del globo. Gli Usa
da sempre chiedono a Germania, Giappone e Cina di fare altrettanto. Nel
2008, 2009 e 2010 la Cina l'ha fatto, ha sostenuto la domanda mondiale.
La Germania no. I dazi americani la Germania se li cerca. Vuoi solo
vendere e non vuoi comprare, gli altri in qualche modo reagiscono».
Lei
scrive che la Germania ha bisogno di avvalorare l'illusione che anche
la Francia abbia voce in capitolo in Europa, per non dare l'impressione
di una egemonia
«La
Francia è un fantoccio della Germania. La Francia è economicamente
molto debole, per certi versi più debole dell' Italia. La Germania ha
bisogno della finzione che in Europa si è in due a governare, ma del
resto si è visto: le proposte di riforma dell' eurozona di Emmanuel
Macron sono assolutamente timide e la Germania spesso ha detto di no e
qualche volta ha fatto finta di dire di sì, come ha fatto la settimana
scorsa davanti alla proposta su un minimo di bilancio europeo, ma si
tratta di 20 miliardi. Come dire: nemmeno una finanziaria italiana.
Parliamo sostanzialmente di una presa in giro».
La Germania vuole cambiare le regole europee: secondo lei cosa ha in mente?
«Cosa
ha in mente la Germania non è chiaro, tranne che i propri interessi.
Dell'Italia non gliene può importare di meno, tutte queste chiacchiere
su una solidarietà europea lasciano il tempo che trovano. L'Italia è un
Paese che, se c'è o non c'è, alla Germania non interessa più di tanto.
Certo, può comprare qualche buona impresa italiana, come la Ducati
(controllata da Audi, ndr), ma di tutto il resto le importa poco.
La
Germania vuole, come ha chiaramente detto, che i mercati sanzionino
l'Italia. Affinché questo accada, la Bce non deve intervenire a sostegno
dei titoli italiani. Uno Stato è lasciato alla mercè dei mercati, con
la Commissione europea che li aizza: questa è la situazione in cui ci
troviamo. Sono indubbiamente molto forti, molto bravi, non solo loro, ma
anche i francesi, Noi avremmo bisogno di più flessibilità, più domanda
interna, di una banca centrale che ci sostenga».
E il quantitative easing voluto da Mario Draghi?
«Si
questo l'ha fatto, ma il quantitative easing europeo è partito con sei
anni di ritardo rispetto a quello americano. Sei anni di ritardo, che
noi abbiamo pagato con l'aumento del debito dal 100% del 2007 al 130% di
oggi. Il non far nulla della Bce e l'austerità ci sono costati 30 punti
di rapporto debito/pil. Inoltre, con il quantitative easing la Bce ha
comprato titoli di tutti i Paesi, tanto è vero che i tedeschi hanno il
tasso di interesse sul Bund a 10 anni al 0,3/0,4%, noi ce l'abbiamo al
3,5 per cento in più.
È
chiaro che così per i tedeschi è facile tenere le finanze pubbliche
sane, ma non c'è ragione economica perché l'Italia paghi tassi di
interesse così assurdi. Il Giappone ha tassi a zero con il rapporto
debito/pil al 250%. Il debito pubblico giapponese è enorme, ma la banca
centrale tiene i tassi a zero e quindi non è un problema».
Cosa potrebbe o dovrebbe fare la Bce?
«La
Bce potrebbe intervenire selettivamente sui titoli pubblici italiani se
lo volesse. Tra l'altro, sarebbe obbligata a farlo, perché gli alti
tassi di interesse sui titoli italiani si trasmettono poi sul costo dei
nuovi mutui, sul costo del credito a famiglie e imprese.
La
Bce, siccome deve garantire che il costo del credito sia il medesimo
per tutti i Paesi europei, dovrebbe intervenire sui titoli pubblici
italiani. Nel 2010/12 un po' lo ha fatto. Comprò solo alcuni titoli di
Stato: italiani, spagnoli, irlandesi. Dovrebbe farlo anche adesso, non
per sostenere lo Stato italiano, ma per garantire che i tassi di
interesse per famiglie e imprese siano i medesimi».
Cosa pensa del braccio di ferro tra il governo italiano e la Commissione europea?
«Il governo italiano non è che stia violando chi sa cosa. È un attacco politico, quello della Commissione europea».
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