giovedì 27 ottobre 2011

L’eredità di Garegnani è nella politica economica

Pubblichiamo più sotto una piccola polemica con Salvatore Biasco uscita su il Riformista (con un titolo diverso da quello qui sopra che era quello da me suggerito).
Nel frattempo il grande accordo europeo, l'ennesimo, ha generato un'euforia nei mercati (oltre del solito Corradino Mineo su Rainews) che non si vede per quale ragione debba durare (Munchau è stamane della medesima opinione). Il potere di fuoco del fondo "salva-stati" (l'EFSF) è stato esteso, si dice, a 1000 miliardi di euro. I meccanismi attraverso cui ciò dovrebbe accadere sono oscuri, si capirà meglio i prossimi giorni, ma temo che quando si capirà meglio si vedrà che dietro c'è poco o niente (qualche spiegazione critica la offre Perotti, ma ancor meglio il FT: quello che residua dai famosi 440 miliardi del EFSF una volta sostenuta la Grecia e le banche vengono usati (a) per offrire un 20% di assicurazione su eventuali perdite per chi acquista titoli sovrani; (b) si creano titoli dal nome inquietante di "veicoli speciali", che Munchau, ha già definito tossici, in cui si impacchettano un po' di fondi EFSF e titoli di stato sovrani sperando che la Cina se li compri! Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò). L'unica sostanza la può mettere la BCE, ma ci siamo quasi stancati di ripeterlo. Inoltre nessun problema fondamentale che ha generato gli squilibri europei viene affrontato. Anche se si condona un po' di debito alla Grecia (ma sarà vero? e chi paga? solo le banche tedesche creditrici o anche noi?), quel paese non può in quest'Europa ritornare competitivo. E questo vale anche per noi.
L’eredità di Garegnani nell’economia politica
Sergio Cesaratto
Il riformista (19/10) ha tempestivamente dato la notizia della morte di Pierangelo Garegnani riportando le parole non rituali del Presidente Napolitano che ricordavano il legame che lo accumunava allo scomparso nell’amicizia con Piero Sraffa. I giudizi attribuiti a Salvatore Biasco mi sembrano tuttavia fuorvianti nel rappresentare l’eredità intellettuale di Garegnani e dello stesso Sraffa. Si sostiene che Garegnani non arrivò a una “rifondazione dell’economia politica se non nei presupposti del ragionamento economico, senza arrivare a tematiche di politica economica”. La verità è invece che Garegnani ebbe sempre ben presente che lo scopo ultimo della sua ricerca teorica fosse sia la continuazione della critica dell’economia politica dominante avviata da Marx,
 dunque dell’ideologia che giustifica il capitalismo, sia la derivazione di ricette economiche volte a correggere a favore dei salari e dell’occupazione le storture più evidenti di questo sistema. Garegnani non ha neanche mai  dismesso il suo interesse per la comprensione di ciò che andò storto nel “socialismo realizzato”, un tema frettolosamente rimosso dalla sinistra.
Più nel dettaglio, la ripresa dell’approccio degli economisti classici pose alla base della distribuzione fra salari e profitti i rapporti di forza fra le classi sociali, rigettando l’idea di una distribuzione “naturale” – un approccio che fu assai influente sulle lotte operaie dell’autunno caldo. Inoltre i risultati della “controversia sulla teoria del capitale” minarono alle fondamenta la teoria marginalista (o neoclassica) dominante, e con essa l’idea che la flessibilità dei salari portasse alla piena occupazione. Garegnani ha consentito così di irrobustire la critica keynesiana proprio dove era maggiormente esposta, edulcorata, al riassorbimento nella teoria dominante. Il clamore delle critiche sraffiane che dagli anni ‘60 diede impulso al fiorire nel mondo di analisi economiche alternative, inclusa la nascita della Facoltà di Economia di Modena, fucina di studi concreti, basti ricordare i lavori di Pivetti, De Vivo, Ginzburg, Vianello ed altri, fra cui lo stesso Biasco, sull’economia italiana e internazionale. Molti economisti dei paesi emergenti hanno riconosciuto le implicazioni di quelle critiche per l’analisi dello sviluppo.
Sul fronte politico, proprio citando Garegnani, Paggi e D’Angelillo mossero nel 1986 una critica assai attuale al “riformismo” del PCI. Essi spiegarono, sulla base di convincenti considerazioni storiche, come influenti dirigenti del partito avessero assimilato il pensiero economico dominante sino a vedere gli avanzamenti della classe lavoratrici come fondamentalmente incompatibili col capitalismo e dunque da contenere. Questo mentre nelle socialdemocrazie nordiche il rigetto dell’idea di una distribuzione naturale del reddito, mutuata in quel caso da Myrdal, favoriva progressi concreti e stabili dei lavoratori.
Non v’è dubbio che l’importanza  Garegnani ha attribuito ai temi teorici, in particolare al proseguimento della critica alla teoria marginalista del capitale, può aver deformato l’immagine della scuola sraffiana. Quell’importanza scaturì dalla consapevolezza che solo un attacco alla “cittadella” teorica neoclassica, come la definiva Keynes, poteva consolidare la critica alle conclusioni di politica economica di quella teoria. In virtù di ciò, le conseguenze dell’analisi di Garegnani e Sraffa su ogni aspetto di quella teoria risultano devastanti e promettenti per una ricostruzione su linee nuove che è già da tempo in corso. Lo testimonia il fatto che molti economisti sraffiani sono oggi in prima linea, con argomentazioni coraggiose, sui temi della crisi italiana ed europea. Alle volte v’è forse stato un ritardo nel comunicare i risultati realizzati. Le forze disponibili sono oggi più limitate nel mutato clima culturale, e ciò non aiuta. Le carriere accademiche in campo non conformista sono divenute difficili; la giustissima valutazione della ricerca universitaria è utilizzata per cancellare il dissenso. [Cogliamo l’occasione per richiamare l’attenzione del Presidente Napolitano su questo.]*
(il Riformista 26 ottobre 2011)
* Passo omesso dal giornale.

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