Pubblichiamo un articolo uscito su IL FOGLIO - una risposta a Franco Debenedetti sollecitata dagli amici che hanno promosso il Monito degli economisti. Con l'occasione, Radio radicale trasmetterà sabato 5 alle 15,30 quattro interviste a Michele Salvati, Alberto Bagnai, Emiliano Brancaccio e al sottoscritto sul tema dell'euro.
Risposta ai merkeliani e agli economisti che sposano la linea moralista (titolo redazionale)
Sergio
Cesaratto
Siamo
d’accordo con quanto afferma Franco Debenedetti (Il Foglio 27/09/13) nel suo commento al “Monito degli economisti” (Financial Times 23/9/13) che le vicende
e leggi economiche non si ripresentano meccanicamente nella storia, la quale
risulta da un intreccio complesso fra economia e scelte politiche. Si riafferma
una banalità nel sostenere che, tuttavia, l’evocazione attenta degli eventi
storici è fondamentale per avere una guida alle scelte correnti. E Debenedetti
converrà con noi che le scelte politiche non possano svolgersi senza riguardo
ad alcuni principi economici di fondo. Lo ammettiamo persino noi che non condividiamo
la visione rigida dell’economia propria dell’impostazione neoclassica dominante
e la vediamo invece come terreno entro cui ampia è la gamma di scelte politiche
possibili, fra le quali prevarranno quelle sostenute dagli interessi più forti
di gruppi sociali o di Stati.
Il
riferimento alle vicende economico-politiche che seguirono il primo conflitto
mondiale è stato una costante durante la presente crisi finanziaria. Viene a
proposito considerata una fortuna che presidente della FED americana fosse Ben
Bernanke, uno studioso della crisi degli anni trenta che degli errori compiuti
durante quegli eventi ha saputo fare tesoro. L’errore fondamentale fu allora di
guardare alla crisi come occasione di “risanamento” attraverso politiche
monetarie e fiscali restrittive che aggravarono la recessione. Questa lezione è
stata tuttavia poco appresa in Europa dove hanno prevalso le convenienze
economiche tedesche e l’inadeguatezza politica e intellettuale delle classi
dirigenti degli altri paesi. Debenedetti sembra ritenere che chi denuncia
questa inadeguatezza drammatizzi le conseguenze delle politiche di austerità. A
noi sembra che, invece, sia ancora scarsa la consapevolezza nella classe
dirigente della china su cui si è avviato il paese, fatta di
deindustrializzazione e impoverimento. La china è certamente resa più
drammatica dall’instabilità politica, ma non può essere furbescamente
attribuita a quest’ultima. Concordiamo con Debenedetti che i problemi
dell’economia italiana vengano da lontano – anche se divergeremmo sicuramente
nella loro identificazione puntuale. Certamente l’ingresso nella moneta unica
non ha costituito quella sferza alla modernizzazione del paese che qualcuno ingenuamente
si aspettava, rappresentando invece una cornice in cui la crescita si è andata
progressivamente inaridendo. Privi di una banca centrale il nostro debito
pubblico è alla mercé di una banca centrale straniera (la BCE) che potrebbe, se
così le fosse imposto, ridurre drasticamente i tassi di interesse (che non ci
stancheremo mai di ripetere sono fatti dalle banche centrali). Eppure le
vicende del sistema monetario europeo (SME) dovevano ammonirci delle sofferenze
in cui saremmo incorsi con cambi irreversibilmente fissi coi tedeschi. Dallo
SME potemmo fuggire nel 1992 raddrizzando i nostri conti con l’estero (senza
conseguenze inflazionistiche), ora siamo in un bel guaio.
In
questo contesto, e poiché subiamo la quotidiana reprimenda moralista dei
governanti tedeschi che ci dipinge come lazzaroni, il riferimento alle vicende
del debito di guerra tedesco nell’ambito del “Monito degli economisti” non ci
appare fuori luogo. Ricordare a quel paese come l’atteggiamento estremamente
punitivo tenuto da alcuni paesi vincitori fu foriero dell’avvento del nazismo,
e come anche in virtù di questa lezione esso fu trattato con enorme magnanimità
dopo il secondo conflitto non è solo (nobile) esercizio retorico, ma ci aiuta
grandemente a interpretare politicamente le vicende correnti, e soprattutto gli
errori in cui pervicacemente si incorre.
L’Unione
Monetaria Europea (UME) è stato un errore – viepiù lo si sta realizzando – in
violazione di elementari principi economici che vedevano nella flessibilità dei
cambi uno strumento essenziale di aggiustamento economico fra regioni
economicamente diverse. La sprovvedutezza dai leader europei, scambiata per
lungimiranza europeista, e l’ideologismo degli economisti monetaristi europei
che vedeva nell’UME un elemento disciplinante fecero il pasticcio. Eminenti
studiosi accostano l’UME al gold standard, il cui abbandono costituì parte
dell’uscita dalla grande crisi degli anni trenta. Un altro monito della storia.
Il Foglio 2/10/2013
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