Da Micromega on line.
Apertura atenei: adelante
con juicio
di Sergio Cesaratto
Studenti e docenti sono ancora nell’incertezza circa la riapertura degli Atenei il prossimo settembre, e soprattutto circa “quale riapertura”. Se studenti e docenti risultano totalmente esclusi dalle decisioni, essi non appaiono peraltro unanimi nel merito. Gli atenei, a loro volta, sembrano procedere in ordine sparso, in ossequio al modello delle autonomie disordinate che pare prevalere nel Paese.
Studenti e docenti sono ancora nell’incertezza circa la riapertura degli Atenei il prossimo settembre, e soprattutto circa “quale riapertura”. Se studenti e docenti risultano totalmente esclusi dalle decisioni, essi non appaiono peraltro unanimi nel merito. Gli atenei, a loro volta, sembrano procedere in ordine sparso, in ossequio al modello delle autonomie disordinate che pare prevalere nel Paese.
Una lettera
di docenti e studenti all’inizio di giugno ha chiesto ad alta voce la
riapertura degli atenei, senza se e senza ma. L’argomento fondamentale è che appare
assurdo tenere chiuse le università quando spiagge, stadi e discoteche stanno
allegramente venendo riaperti. Un docente dell’Università di Torino ha definito
questo ragionamento “francamente
indegno di docenti universitari” (Il
Fatto, 15 giugno).[1]
Assente è infatti qualunque accenno alle problematiche sanitarie della
riapertura tout court degli atenei come di altre attività sociali. Compito dei
docenti universitari sembrerebbe piuttosto quello di allertare la società sui
pericoli di aperture frettolose e di suggerire criteri di sicurezza in merito,
non di accodarsi ai gestori delle discoteche! In aggiunta il documento condannava senza appello la didattica online,
rivendicando un’immagine dell’università un po’ da Scuola di Atene,
incompatibile con la didattica a distanza. Quello che si può dire è che la
didattica online non ha affatto dato cattiva prova di sé. Il ministro
dell’Università Gaetano Manfredi riferisce al riguardo un’ampia soddisfazione
degli studenti.[2]
Questo non toglie che vivere la propria esperienza universitaria senza condividere
con gli altri studenti piaceri e difficoltà dello studio combinando solidarietà
ed emulazione, è una menomazione drammatica di un’esperienza unica. Le
matricole, peraltro, arriveranno a settembre dopo aver perso quell’altra
esperienza unica che è l’ultimo anno di scuola, col rischio di costituire una
generazione smarrita, specie per chi è più fragile per famiglia d’origine e personalità.
Nell’incertezza
circa l’andamento dell’epidemia e della mobilità a cui gli studenti saranno
disponibili, il ministro si è fondamentalmente espresso per forme di insegnamento
miste, allo stesso tempo in presenza e online (definite da qualcuno con
l’orribile termine di blended),
nell’auspicio di un ritorno allo status quo ante nel febbraio 2021. Un quadro
di ciò che gli atenei stanno facendo non è disponibile. Sembra che alcuni
atenei siano più orientati verso la prevalenza della modalità online (non in
presenza), limitandosi ad aperture limitate e selettive; altri per un’apertura
totale con didattica mista. La prima scelta a me appare quella più opportuna.
La scelta di
tenere tutti i corsi in didattica
mista (lezione in presenza con trasmissione online) sta infatti comportando
negli atenei che l’hanno scelta un notevole sforzo organizzativo e significativi
oneri finanziari. Questi sono dovuti alla necessità di attrezzare le aule con i
necessari dispositivi per l’online; escogitare macchinose turnazioni di
studenti per evitare l’affollamento; dotarsi di improbabili dispositivi e
modalità di sanificazione. Tutto questo costa tempo e risorse, e potrà alla
prova dei fatti rivelarsi scarsamente efficiente se non caotico. Il modello
misto applicato all’insieme dei corsi non dà dunque garanzie di sicurezza
sanitaria; può rivelarsi non funzionale creando confusione; mentre il mix di
online e presenza può rivelarsi né carne né pesce dal punto di vista didattico
- fare lezione “in presenza” inchiodati a guardare un computer è surreale. Da
ultimo può rivelarsi inutile di fronte a una seconda ondata epidemica a cui si
arriverebbe impreparati e senza una didattica online a distanza ben organizzata.
Poiché l’ondata si manifesterebbe quando i buoi sono già scappati, il costo
umano di questa scelta può essere disastroso (ciò che è successo a febbraio e
marzo, quando le rare Cassandre non furono ascoltate, lo insegna).
E qui apro
una parentesi. L’età media della docenza italiana è molto elevata, i docenti
lavorano sino a 70 anni, e spesso continuano a insegnare su base volontaria
anche dopo. I rischi che loro incorrono sono molto elevati e logica vorrebbe
che se si liberalizza, soprattutto a vantaggio dei più giovani, lo si faccia
proteggendo i più anziani.[3] Il paradosso è che da un lato i docenti verrebbero
esposti a rischi elevati in aule e corridoi universitari in cui, non ci si
illuda, protezione sanitaria e distanziamento sociale saranno illusori;
dall’altro verrebbero loro attribuite responsabilità della sicurezza in aula, incluso regolare l’accesso e di
deflusso. Pensare di svolgere queste funzioni in condizioni di sicurezza farebbe
sorridere se non fosse tragico. E non si dica che gli studenti frequentanti
saranno pochi: allora perché si fa tutto questo?
Allora non
aprire? No, la modalità da adottare è quello dell’apertura selezionata, come
qualche ateneo intelligentemente sembra voler fare, in modo da ridurre i flussi
e i rischi connessi per studenti, docenti, personale tecnico-amministrativo, e
concentrando le risorse finanziarie ed organizzative. Apertura selezionata
sulla base di quali criteri? Certamente riaprire i laboratori, vitali per la
continuazione della ricerca in settori essenziali; permettere le attività di
ricerca dei dottorandi e dei laureandi nelle biblioteche e laboratori; si
potrebbero attivare in modalità mista i corsi del primo anno della triennale
(per salvaguardare una generazione già penalizzata, come s’è detto); nelle
facoltà scientifiche, meno numerose, ci si potrebbe forse spingere più in là,
aprendo corsi oltre quelli di primo anno, specialmente dove c’è attività di
laboratorio. La selezione dei docenti in presenza dovrebbe tener conto di
ragioni di età, patologie, residenza, ed eventualmente delle scelte
individuali. Il resto della didattica potrà essere svolta online, gli studenti
sono sufficientemente maturi per rispondere positivamente. La partecipazione in
presenza agli organi collegiali potrebbe essere lasciata alle scelte individuali
continuando a prevedere, in particolare per le fasce a rischio, la possibilità
del collegamento da remoto (ricordiamo che ci sono anche rischi connessi al
tragitto casa-lavoro, a meno di trasformare l’apertura in uno spot
pro-automobile privata).
Vi sarebbero
risparmi di spesa, maggiore efficienza e forme più ordinate di organizzazione.
In caso di aggravamento della situazione il ritorno all’online risulterebbe più semplice, mentre se le cose andassero auspicabilmente meglio, da febbraio si
tornerebbe alla normalità senza il rammarico di essere incorsi in spese e costi
organizzativi rilevanti. L’online andrebbe certamente rafforzato con un impegno
dei docenti a creare piccole comunità di corso, integrando le lezioni con
webinar su temi di interesse di studentesse e studenti e fornendo un sostegno
didattico assiduo.
Purtroppo questa vicenda vede l’interferenza
di altri elementi, in particolare la concorrenza fra le università
nell’attrarre studenti da fuori provincia e gli interessi delle città, specie
medio-piccole, che ospitano gli atenei dai quali dipendono flussi di reddito
essenziali – preoccupazioni che hanno una loro legittimità, ma su cui si deve
essere prudenti. Linee guida nazionali potrebbero scongiurare forme deleterie
di concorrenza. Nessuno desidera chiudere l’università. Essa apra tuttavia in
maniera selettiva e controllata quale esempio di organizzazione, prudenza e lungimiranza
per il resto della società italiana. Poi c’è chi riterrà che queste parole di
cautela siano pilotate dal disegno di un Grande Fratello volto a trasformare
l’università in una macchina commerciale di conoscenze online. Non credo a
queste teorie, ma esse sono riferibili in ogni caso ad ambedue i modelli di
riapertura dei quali, però, uno è più costoso, caotico, autoritario e
rischioso.
[1]
https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/06/15/universita-docenti-divisi-sulla-didattica-mista-fino-a-febbraio-2021-cosi-in-aula-solo-pochi-eletti-ma-laffollamento-e-un-problema/5833929/
[2] https://www.corriere.it/sette/politica/20_giugno_12/ministro-dell-universita-manfredi-tutti-aula-febbraio-84f7548a-acb6-11ea-b5f6-e69744c83472.shtml
[3] Si veda questo paper: https://www.econpol.eu/publications/policy_brief_29
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