mercoledì 20 maggio 2020

E qui comando io...

E qui comando io... pubblichiamo articolo uscito su Il Fatto quotidiano del 20 maggio 2020


L’ombra sinistra di Karlsruhe su BCE e recovery fund
La sentenza della Corte costituzionale tedesca del 5 maggio ha aperto il vaso di Pandora delle contraddizioni dei tre pilastri della governance europea, giuridico, politico ed economico. Essa è una ferita inferta alla BCE, lasciata sinora sola ad affrontare gli effetti economici della pandemia, e la sua ombra ricade anche sull’iniziativa Merkel-Macron del recovery fund.
La sentenza ne ha avute per tutti, BCE, Corte di giustizia europea (CGE) e persino parlamento e governo tedeschi, colpevoli di non aver tutelato i propri cittadini. 



Suo oggetto è stato il programma di acquisti di titoli pubblici e privati (PSPP) iniziato da Draghi nel 2015, più noto come quantitative easing, contestato da alcuni cittadini tedeschi. La Corte ha ritenuto l’intervento legittimo, ma sproporzionato rispetto all’obiettivo di far risalire l’inflazione al 2%. La BCE non avrebbe inoltre tenuto conto delle vittime collaterali del programma, come i fondi pensionistici (tedeschi) danneggiati dai tassi di interessi negativi e, soprattutto, dello sconfinamento della politica monetaria in quella fiscale col sostegno alle finanze pubbliche dei paesi ad alto debito, così sottratti alla frusta dei mercati e alle inevitabili manovre di aggiustamento. Ad oltrepassare le proprie competenze – violazione nota nel diritto tedesco come azione ultra vires – sarebbe stata anche la CGE che in una sentenza del dicembre 2018 favorevole alla BCE avrebbe sottaciuto le menzionate violazioni. Poiché queste ultime sono costituzionalmente inaccettabili per la Germania, ecco l’ingiunzione alla BCE - in violazione della sua indipendenza - di giustificare entro tre mesi il proprio operato pena il ritiro della Bundesbank dal PSPP. La sentenza ha lasciato i più atterriti.
Dal punto di vista della governance giuridica la sentenza disconosce il principio della superiorità dell’ordinamento europeo su quelli nazionali. L’ordine impartito dalla Corte tedesca alla BCE impallidisce di fronte al colpo inferto all’ordinamento costituzionale dell’UE. La CGE ha risposto seccamente alla Corte, ma avrà la Commissione europea coraggio sufficiente di intentare una procedura d’infrazione contro la Germania aprendo una crisi nella governance politica? Si può infatti governare l’Europa contro la Germania? Inoltre, dato che la istituzioni che governano l’Europa hanno palesi deficit democratici, difficilmente sinceri democratici potranno contestare alla Corte tedesca di giudicare sulla base della propria costituzione se esse rispettino o meno le deleghe loro concesse. Il merito della sentenza può dispiacere, ma il metodo non è facilmente contestabile. Il pasdaran europeista dirà che si tratta allora di democratizzare l’Europa e non di ritirarsi nei confini nazionali. Il punto è che decisioni democratiche pan-europee implicano una solidarietà politica che esisterebbe se l’Europa fosse una nazione, ed essa non lo è, se non per qualche élite finché è gratis parlarne. Ciò che viene costituzionalmente tutelato in Germania è proprio il diritto dei cittadini di decidere sull’uso delle risorse fiscali nazionali, che non è dunque delegabile. Davvero agli europeisti piacerebbe un’Europa solidale costruita sul rafforzamento delle tecnocrazie europee in barba alle prerogative costituzionali nazionali? Dopo la moneta senza stato avremmo la solidarietà senza base popolare!
La Corte ha sferrato un colpo mortale anche all’incompleta governance economica europea in cui all’assenza di una politica fiscale comune si è supplito con un sovraccarico di compiti sulla BCE che, alla lunga, non è sfuggita al verdetto di condanna a cui la corte di Karlsruhe da tempo anelava. Attenzione però ad accusare la Corte di incompetenza economica - che naturalmente c’è tutta – in quanto in punta di diritto essa ha anche in questo caso ragioni da vendere: la politica monetaria della BCE ha sconfinato nella politica fiscale. La Corte ha così fissato precisi paletti alla BCE: durata prefissata del programma di acquisto dei titoli, rispetto delle quote spettanti a ciascun paese, dismissione dei titoli a fine programma. Proprio quei paletti che, guarda un po’, la BCE sta violando col nuovo programma (PEPP) volto a sostenere i paesi più colpiti dalla pandemia. Implicito l’invito a questi ultimi perché si facciano bastare il MES light (quello utile per l’acquisto di mascherine senza che le condizionalità iscritte nelle regole esistenti siano state rimosse). E quando i nodi finanziari verranno al pettine ricorrano al MES vero, ristrutturando il loro debito a carico di banche e risparmiatori e stringendo la cinghia.
Si potrebbe ritenere che la Corte tedesca abbia però rilanciato la palla alla politica europea perché si assuma le proprie responsabilità smettendola di delegarle alla BCE. Al riguardo, non solo il piano franco-tedesco per un indebitamento europeo di 500 miliardi ha vistosi limiti in quanto una tantum, contenuto nella mole, legato a un preciso piano di restituzione a valere sui futuri bilanci europei (che quindi erogheranno meno fondi), vincolato all’adozione di “sound economic policies” da parte dei paesi beneficiari, ambiguo nella destinazione dei fondi (sostenere la ripresa dei paesi in sofferenza o settori high tech dei paesi più forti?) e da ultimo soggetto al veto degli altri paesi rigoristi. Ma siamo soprattutto lontani anni luce da una riforma organica della governance economica europea, su cui si proietta l’ombra sinistra della sentenza di Karlsruhe e degli interessi nazionali che di essa si fanno scudo.

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