martedì 22 ottobre 2019

Intervista su Il sussidiario


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PIL E MANOVRA/ Anche l’Italia precipita nella recessione tedesca

- int. Sergio Cesaratto

Dalla Brexit ai dazi sempre più incognite sulla crescita. La “golden rule” sugli investimenti non serve, molto meglio puntare sugli Eurobond

Il timbro ufficiale arriva dall’autorevole Bundesbank: l’economia tedesca potrebbe essere entrata in recessione, anche se non profonda. “Il Prodotto interno lordo potrebbe essersi ridotto nuovamente nel terzo trimestre del 2019” dopo il -0,1% del secondo trimestre, con l’export che continua a soffrire e gli indicatori di fiducia che non fanno intravedere una svolta immediata. Tuttavia, “una recessione nel senso di un significativo, ampio e durevole declino della produzione, con capacità inutilizzata, al momento non è in vista”.
È solo l’ultimo anello di una catena di cattive notizie per l’economia mondiale, che va ad aggiungersi alle incognite legate alla Brexit, alla guerra dei dazi che colpisce anche l’Europa, a un Sudamerica in fiamme per le proteste sociali e a un rallentamento globale, sancito pochi giorni fa dalle stime del Fondo monetario internazionale, che si fa sentire anche sull’economia cinese, la cui crescita è in frenata. Non è uno scenario troppo preoccupante per un Paese dai conti fragili come l’Italia? E quali effetti potrebbe avere sulla nostra economia e sulle nostre gracili prospettive di crescita? La manovra a cui sta lavorando il Governo non rischia di essere inadeguata di fronte a questa sfida? E che cosa potrebbe cambiare il quadro?
Ne abbiamo parlato con Sergio Cesaratto, professore di Economia politica all’Università di Siena, che commenta: 



“È facile purtroppo prevedere uno scenario molto negativo per l’Italia, perché così le cose non possono certo andar bene, tenuto conto che la Germania è il nostro primo partner commerciale e che i dazi Usa picchiano, e picchieranno duro, anche sulle merci italiane”.
Le stime sul Pil italiano già concordano nell’indicare una crescita zero o al massimo da prefisso telefonico. Non c’è il rischio adesso che si possa anche scivolare in territorio negativo, tornando in uno scenario recessivo?
Penso proprio di sì, tanto più che adesso la Germania si avvia a una recessione tecnica, cioè ad avere due o tre trimestri con il segno meno. A meno che non cambi qualcosa.
Che cosa potrebbe intervenire per invertire questo trend, alla luce anche del fatto che pochi giorni fa il Fmi ha lanciato l’allarme su una crescita globale fiacca che non si vedeva da anni? Saranno ancora gli Usa l’àncora di salvezza?
Assolutamente no. Trump è stato eletto anche sull’onda dell’idea di dire basta a che siano gli Stati Uniti l’importatore di ultima istanza per tutta l’economia mondiale. Questo rimanda alla vecchia polemica sulle locomotive, quando alla fine degli anni Settanta gli Usa accusavano Germania e Giappone di fare i vagoni dell’economia mondiale e non le locomotive. Detto questo, gli Usa non possono più esserlo da soli. Credo che a suo modo la Cina un po’ il suo dovere lo faccia, perlomeno un riequilibrio delle partite correnti cinesi c’è stato. L’onere, a questo punto, ricade sull’Europa e sulla Germania.
Ma sono pronte ad assumersi questo compito?
No, penso che non abbiano intenzione di far nulla per stimolare l’economia del continente. È un disastro anche per l’economia globale. Vedo una situazione parecchio pesante.
La manovra del governo Conte nasce già “vecchia”? Quanto è attrezzata ad affrontare questa situazione in progressivo avvitamento generale?
In queste condizioni diventa ancora più complicato rilanciare la domanda interna. Il keynesismo in un Paese solo non si può fare, a meno di mettere il controllo alle importazioni.
Introdurre dazi?
A maggior ragione se questa recessione, o rallentamento, Ue e globale colpisce, come sta colpendo, le nostre esportazioni, se uno fa una manovra troppo espansiva, il Paese va in disavanzo con l’estero. Questo tecnicamente vuol dire che abbiamo bisogno di risparmio estero per sostenere il debito pubblico.
Conseguenze?
Rebus sic stantibus, questa manovra è inadeguata perché – lo dico per paradosso – è troppo espansiva.
In che senso?
Nel senso che se il quadro peggiora e gli altri non fanno nulla, si rischia che una manovra che espansiva non è diventi troppo espansiva, cioè peggiori il debito e peggiori i conti con l’estero. Il punto è che l’espansione, ancor più in una congiuntura simile, in un Paese solo non si può fare. Bisogna espandersi insieme, chi più chi meno, ma insieme.
Deve muoversi, quindi, tutta l’Europa. Ma cosa servirebbe? Può dare una mano il rilancio della “golden rule”, cioè la possibilità di scalare gli investimenti dal calcolo del deficit?
Questa “golden rule” l’ho sempre vista con un po’ di sospetto. Primo, perché le spese per istruzione e sanità non sono certo meno nobili della spesa per gli investimenti, non sono soldi buttati al vento, perché anche l’istruzione è un investimento anche se non a capitale fisso. Secondo, perché la spesa per gli investimenti richiede tempi non immediati, serve progettarli. Certo, le infrastrutture servono, ma non farei una gerarchia, va sostenuto un po’ tutto. Si parla tanto delle diseguaglianze, e allora, cosa c’è di più nobile che contrastarla finanziando il salario indiretto dei lavoratori, che vuol dire consumi sociali in istruzione e sanità? Ripeto: in un quadro di espansione intelligente e concertata, la “golden rule” non serve.
Potrebbero essere più utili gli Eurobond?
Forme di europeizzazione del debito consentirebbero un’ulteriore discesa dei tassi d’interesse italiani e ciò comporterebbe la possibilità per noi di spendere queste risorse per investimenti, sanità e istruzione. Gli Eurobond sarebbero molto utili, ma qui parliamo di fantascienza, vista l’opposizione della Germania.
La transizione alla green economy può essere davvero una carta spendibile per rilanciare la ripresa, non solo in Italia, ma in tutta Europa?
Difficile a dirsi, anche se muoversi verso una green economy farebbe bene al mondo. Ma non si riuscirà a farlo velocemente. Qualora anche venisse in mente all’Europa di investire in un nuovo modello di sviluppo, producendo qualcosa meno e qualcosa di diverso e aumentando l’occupazione attraverso una riduzione dell’orario di lavoro, tutto ciò richiederebbe decenni. Però si può cominciare, perché alternative non ce ne sono.
Tornando alla manovra del governo, non ha l’impressione che sia un po’ troppo timida su tutti gli obiettivi che si prefigge: misure per la crescita, lotta alle disuguaglianze, tagli alla spesa? Non manca un “driver” vero?
È un governo di coalizione, quindi bisogna dare un po’ a tutti. Ma con così poche risorse, alla fine si buttano un po’ qua e un po’ là, scontentando tutti. La coperta è corta e sull’idea forte da trovare, non sempre funziona: basta guardare quel che ha fatto il governo precedente con Quota 100 e reddito di cittadinanza, misure che non hanno sortito alcun effetto.
Oggi meglio rilanciare i consumi interni o gli investimenti?
Io punterei su istruzione, sanità e investimenti.
(Marco Biscella)


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