Dove
va l'Europa? Resterà una unione incompleta, dotata solo di strumenti di
politica monetaria comunitaria? Secondo Mario Draghi è venuto il
momento di una politica fiscale comune.
In una intervista al Financial Times,
il governatore della BCE, ormai scadenza, ha parlato della necessità di
un passo in avanti verso una politica fiscale comune dei Paesi UE. Una
unione monetaria non è sufficiente, è incompleta, dinnanzi alle sfide di
un mondo globalizzato che richiede una maggiore integrazione. Serve una
unione fiscale europea, un bilancio comune. Un passaggio radicale, un
lascito con cui il governatore della BCE pone fine al suo mandato.
Non ci sono solo le sfide del mercato globale, che vede entrare in scena nuovi attori con ruolo di protagonista, nuovi modelli di sviluppo, con le infinite opportunità aperte dalle nuove tecnologie. C'è anche lo spettro di una grave crisi economica che incombe sull'Europa, per ragioni esogene, la guerra dei dazi tra USA e Cina e per l'incertezza della Brexit, che si riflette sui mercati. Una crisi strutturale che vede la flessione dell'industria automobilistica tedesca e che quindi rischia di travolgere le economie più forti dell'Eurozona.
La BCE è stata cauta e nell'ultimo bollettino aveva annunciato politiche espansive, a sostegno dell'attività economica, esortando allo stesso tempo, i paesi con una sofferenza finanziaria ad usare prudenza nella tenuta dei conti. Per Mario Draghi l'aumento della spesa pubblica è una misura "urgente", dopo anni di austerity. Cosa vuol dire questo drastico cambio di tendenza?
Sputnik Italia, per approfondire questi aspetti, ha raggiunto Sergio Cesaratto, professore ordinario di Politica monetaria e fiscale dell’Unione Economica e Monetaria europea, Economia della crescita e Post-Keynesian Economics all’Università di Siena.
Nell' intervista al Financial Times, Draghi ha affermato che c'è bisogno di aumentare la spesa pubblica. Questo vuol dire che abbiamo grossi guai in vista?
Non è la prima volta che Draghi fa affermazioni di questo genere. È chiaro che adesso è in scadenza, quindi può togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Già nel 2013, alla conferenza dei presidenti delle banche centrali di Jackson Hole, in America, fece un discorso molto chiaro: la politica monetaria può arrivare sino a un certo punto, ma poi serve la politica fiscale.
Lei ha appena detto che l'Europa è stata destabilizzante, in che senso?
L'Europa di impronta tedesca è un'economia destabilizzante, vende agli altri ma non compra. E' un modello mercantilista. Se tu vendi e non compri, tu accumuli crediti, gli altri accumulano debiti. La Germania fa indebitare gli altri. E' quello che ha fatto in Europa.
Cioè ha destabilizzato prima l'Europa e poi il resto del mondo?
Esatto. E' un comportamento irresponsabile. Naturalmente la crisi in Europa non è solo una crisi di domanda. Ha dei tratti strutturali, come la crisi del settore dell'automobile, che poi si riverbera anche in Italia, perché noi di automobili ne facciamo poche, ma produciamo componentistica.
Però se un paese con un surplus commerciale sostenesse la domanda, oltre a ridurre l'iniquità sociale, spingerebbe la produzione degli altri paesi europei. Si possono fare investimenti nella riconversione produttiva, verso produzioni più verdi. E se riteniamo di produrre, troppo si può sempre ridurre l'orario di lavoro.
Com'è possibile aumentare la spesa pubblica con gli attuali vincoli di bilancio europei?
Le politiche monetarie della BCE, che ha fatto il possibile, hanno consentito a paesi come la Germania di pagare tassi di interesse sul debito negativi. In questo modo la Germania ha potuto ridurre il rapporto debito/Pil, ben sotto i parametri di Maastricht, raggiungendo il pareggio di bilancio. Anzi l'anno scorso era andata anche in surplus. La Germania quindi non ha assolutamente problemi ad espandere la spesa pubblica.
Il problema è che non li hanno i paesi con delle sofferenze economiche, però.
Sì però l'importante è che ci sia il commercio internazionale, ma il commercio internazionale deve essere tirato da qualcuno. E devono essere i paesi forti fare da traino, riassorbendo il proprio surplus comprando dagli altri.
Questo diventa un beneficio per tutti, dando spazio anche agli altri paesi di fare un poco di espansione fiscale. Se il Pil aumenta perché vendiamo di più alla Germania, aumentano le entrate fiscali e lo Stato può aumentare la spesa pubblica.
Circa un mese fa è uscita fuori un'indiscrezione – poi parzialmente smentita dalla Commissione Europea – di una revisione del Patto di Stabilità e Crescita, nel senso di una maggiore flessibilità. La semplice revisione dei parametri di Maastricht è la panacea di tutti i mali, a fronte di uno spettro recessione nell'Eurozona?
No, non basta, perché vede i parametri di Maastricht, non è che non abbiano senso. Negli Stati Uniti, gli stati federali, California, Arkansas etc, hanno i loro parametri e sono vincolati al pareggio di bilancio. Però hanno una banca centrale che fa da prestatore di ultima istanza al governo. Però, e questo è il punto, c'è un bilancio federale che distribuisce risorse dagli stati che hanno una situazione migliore a quelli in difficoltà, e inoltre ha una funzione anticiclica. Cioè se l'economia americana va male, interviene la Fed e interviene anche il bilancio federale.
Draghi per l'appunto ha dichiarato che serve un bilancio comune per sostenere la politica monetaria.
C'è bisogno di un governo fiscale europeo che possa fare spese in disavanzo, cioè sostenere l'economia europea. Ma qui c'è una opposizione tedesca che io credo insormontabile.
La corte costituzionale tedesca, già da tempo ha detto che la Germania non può approvare spese in sede europea che non siano approvate dal parlamento tedesco. Quindi, diciamo, ogni bilancio federale europeo è impossibile, perché sarebbe subordinato al parlamento tedesco. Quindi l'Europa non evolverà e rimarrà lo strazio che è adesso.
C'è un'economia in declino. La Germania si è salvata sino adesso ma
ha problemi anche lei. Gli USA hanno un governo che tramite la ricerca
militare e la lobby militare scientifica, fa una politica industriale
molto attiva e la stessa cosa la Cina. L'Europa non ha una politica
industriale europea. Ogni tanto si fa la politica industriale
franco-tedesca ma si lasciano fuori gli altri, e quindi è un disastro.
Quali possono essere le prospettive immediate così stante le cose?
È una domanda non semplice, le prospettive né a breve né a lungo mi sembrano promettenti. Servirebbe il sostegno della domanda aggregata in Europa, guidato dalla Germania, una politica industriale europea molto lungimirante, che punti su nuovi settori, ma l'Europa non è capace di questo. Abbiamo perso la corsa tecnologica e se l'ha persa l'Europa, l'Italia è ancora più indietro.
Non ci sono solo le sfide del mercato globale, che vede entrare in scena nuovi attori con ruolo di protagonista, nuovi modelli di sviluppo, con le infinite opportunità aperte dalle nuove tecnologie. C'è anche lo spettro di una grave crisi economica che incombe sull'Europa, per ragioni esogene, la guerra dei dazi tra USA e Cina e per l'incertezza della Brexit, che si riflette sui mercati. Una crisi strutturale che vede la flessione dell'industria automobilistica tedesca e che quindi rischia di travolgere le economie più forti dell'Eurozona.
La BCE è stata cauta e nell'ultimo bollettino aveva annunciato politiche espansive, a sostegno dell'attività economica, esortando allo stesso tempo, i paesi con una sofferenza finanziaria ad usare prudenza nella tenuta dei conti. Per Mario Draghi l'aumento della spesa pubblica è una misura "urgente", dopo anni di austerity. Cosa vuol dire questo drastico cambio di tendenza?
Sputnik Italia, per approfondire questi aspetti, ha raggiunto Sergio Cesaratto, professore ordinario di Politica monetaria e fiscale dell’Unione Economica e Monetaria europea, Economia della crescita e Post-Keynesian Economics all’Università di Siena.
Nell' intervista al Financial Times, Draghi ha affermato che c'è bisogno di aumentare la spesa pubblica. Questo vuol dire che abbiamo grossi guai in vista?
Non è la prima volta che Draghi fa affermazioni di questo genere. È chiaro che adesso è in scadenza, quindi può togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Già nel 2013, alla conferenza dei presidenti delle banche centrali di Jackson Hole, in America, fece un discorso molto chiaro: la politica monetaria può arrivare sino a un certo punto, ma poi serve la politica fiscale.
Siamo di fronte a una crisi che in Europa può
diventare seria, una crisi strutturale, che coincide anche con la crisi
del settore automobilistico tedesco, e quindi anche con la necessità di
una riconversione dell'industria europea. L'Europa invece cerca la
propria crescita nelle esportazioni, e questo da un lato è
destabilizzante dell'economia mondiale, perché è un comportamento
mercantilista, dall'altro va incontro anche alle reazioni del presidente
degli Stati Uniti.
Naturalmente Draghi sa bene quello che sostenevano economisti come
Keynes. La politica monetaria è "efficace se il cavallo beve alla fonte,
ma se non beve non puoi costringerlo". Ovvero se l'espansione della
liquidità risulta inutile, serve una politica fiscale.Lei ha appena detto che l'Europa è stata destabilizzante, in che senso?
L'Europa di impronta tedesca è un'economia destabilizzante, vende agli altri ma non compra. E' un modello mercantilista. Se tu vendi e non compri, tu accumuli crediti, gli altri accumulano debiti. La Germania fa indebitare gli altri. E' quello che ha fatto in Europa.
Cioè ha destabilizzato prima l'Europa e poi il resto del mondo?
Esatto. E' un comportamento irresponsabile. Naturalmente la crisi in Europa non è solo una crisi di domanda. Ha dei tratti strutturali, come la crisi del settore dell'automobile, che poi si riverbera anche in Italia, perché noi di automobili ne facciamo poche, ma produciamo componentistica.
Però se un paese con un surplus commerciale sostenesse la domanda, oltre a ridurre l'iniquità sociale, spingerebbe la produzione degli altri paesi europei. Si possono fare investimenti nella riconversione produttiva, verso produzioni più verdi. E se riteniamo di produrre, troppo si può sempre ridurre l'orario di lavoro.
Ma in Europa manca un paese che riesca a
trascinare l'economia. Il paese più grosso, non sa essere un paese
leader. E questo è un disastro.
Le politiche monetarie della BCE, che ha fatto il possibile, hanno consentito a paesi come la Germania di pagare tassi di interesse sul debito negativi. In questo modo la Germania ha potuto ridurre il rapporto debito/Pil, ben sotto i parametri di Maastricht, raggiungendo il pareggio di bilancio. Anzi l'anno scorso era andata anche in surplus. La Germania quindi non ha assolutamente problemi ad espandere la spesa pubblica.
Se l'Europa agisse in maniera ancora più
determinata nel fare in modo che i tassi sul debito pubblico italiano si
abbassassero un po' di più, anche l'Italia acquisterebbe un po' di
margine di espansione della spesa pubblica. Se la Germania tirasse
l'economia importando di più, ci consentirebbe di espandere la domanda
interna. La Germania, l'Olanda, l'Austria sicuramente hanno spazi molto
grandi.
Sì però l'importante è che ci sia il commercio internazionale, ma il commercio internazionale deve essere tirato da qualcuno. E devono essere i paesi forti fare da traino, riassorbendo il proprio surplus comprando dagli altri.
Questo diventa un beneficio per tutti, dando spazio anche agli altri paesi di fare un poco di espansione fiscale. Se il Pil aumenta perché vendiamo di più alla Germania, aumentano le entrate fiscali e lo Stato può aumentare la spesa pubblica.
Circa un mese fa è uscita fuori un'indiscrezione – poi parzialmente smentita dalla Commissione Europea – di una revisione del Patto di Stabilità e Crescita, nel senso di una maggiore flessibilità. La semplice revisione dei parametri di Maastricht è la panacea di tutti i mali, a fronte di uno spettro recessione nell'Eurozona?
No, non basta, perché vede i parametri di Maastricht, non è che non abbiano senso. Negli Stati Uniti, gli stati federali, California, Arkansas etc, hanno i loro parametri e sono vincolati al pareggio di bilancio. Però hanno una banca centrale che fa da prestatore di ultima istanza al governo. Però, e questo è il punto, c'è un bilancio federale che distribuisce risorse dagli stati che hanno una situazione migliore a quelli in difficoltà, e inoltre ha una funzione anticiclica. Cioè se l'economia americana va male, interviene la Fed e interviene anche il bilancio federale.
In Europa la prima cosa da fare, la BCE ha
fatto il possibile ma non basta, è che i paesi che hanno le finanze
pubbliche con più spazio espandano. Quello che l'Europa dovrebbe fare è
procedere verso un bilancio federale, piccolo all'inizio. L'attuale
bilancio federale europeo è ridicolo e la commissione europea non può
fare spese in disavanzo, non può fare politica keynesiana.
C'è bisogno di un governo fiscale europeo che possa fare spese in disavanzo, cioè sostenere l'economia europea. Ma qui c'è una opposizione tedesca che io credo insormontabile.
La corte costituzionale tedesca, già da tempo ha detto che la Germania non può approvare spese in sede europea che non siano approvate dal parlamento tedesco. Quindi, diciamo, ogni bilancio federale europeo è impossibile, perché sarebbe subordinato al parlamento tedesco. Quindi l'Europa non evolverà e rimarrà lo strazio che è adesso.
Quali possono essere le prospettive immediate così stante le cose?
È una domanda non semplice, le prospettive né a breve né a lungo mi sembrano promettenti. Servirebbe il sostegno della domanda aggregata in Europa, guidato dalla Germania, una politica industriale europea molto lungimirante, che punti su nuovi settori, ma l'Europa non è capace di questo. Abbiamo perso la corsa tecnologica e se l'ha persa l'Europa, l'Italia è ancora più indietro.
L'opinione dell'autore può non coincidere con la posizione della redazione.
(Immagine ripresa dalla pubblicazione a cui si rimanda per i copyrights)
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