Un bell'articolo di Manfredi De Leo sul bicentenario dei Principi di
Ricardo. Questa è la versione finale, una versione preliminare è uscita su il manifesto, 03.06.2017 (il quale ha naturalmente ignorato la versione finale). Il titolo sotto è di De Leo.
1817-2017
Arsenale Ricardo
Manfredi De Leo
Nella gelida Europa della Restaurazione,
mentre l’ancien régime prova a
soffocare la marea populista – così la chiamerebbero oggi – scatenata dalla
Rivoluzione Francese, viene alle stampe nel cuore di Londra un’opera a suo modo
sconvolgente, i Principi di Economia Politica di David Ricardo. Era il 19
aprile 1817. “Il sistema di Ricardo è un sistema di discordie che tende a
generare ostilità tra le classi sociali e tra le nazioni” tuonerà nel 1848
l’economista americano Carey, che denuncia Ricardo come il padre del comunismo
ed il suo libro come “un vero e proprio manuale del demagogo, che punta al
potere attraverso ruralismo, guerre e saccheggi”.
Il carattere intimamente “sovversivo” dei
Principi, colto da Carey, risiede nella particolare spiegazione che Ricardo
elabora della divisione del prodotto sociale tra le diverse classi, una formula
che rappresenta la distribuzione del reddito come un conflitto tra le classi
sociali per la spartizione di un prodotto dato. Il “grande significato di
Ricardo per la scienza”, riconosce Marx, sta proprio nell’aver spinto l’analisi
oltre la superficie delle apparenze fino a svelare la “effettiva fisiologia
della società borghese”. Alla superficie del sistema economico possiamo vedere
solo i prezzi delle merci, che ci offrono un’immagine opaca delle relazioni
economiche sottostanti: le classi sociali si contendono infatti le quote di un
prodotto il cui prezzo varia con la distribuzione stessa, cosicché appare
possibile immaginare che gli interessi di capitalisti, lavoratori e proprietari
terrieri possano convergere intorno all’obiettivo comune della crescita, una
crescita capace di accontentare tutti – alimentando contemporaneamente
profitti, salari e rendite. Nelle parole ironiche di Marx, “se poi per caso si
viene alle mani, come risultato finale di questa concorrenza tra terra, capitale
e lavoro si avrà che, mentre essi litigavano sulla ripartizione, hanno
totalmente accresciuto con la loro rivalità il valore del prodotto, a ognuno ne
tocca una fetta più grande, cosicché la loro concorrenza stessa non appare che
come la stimolante espressione della loro armonia”. Questo suggeriva l’allora
indiscussa teoria del valore di Smith, e questo ripetevano gli economisti
conservatori come il reverendo Malthus, impegnati ieri come oggi a servire l’establishment attraverso la narrazione
pacificante dell’interesse generale: se esiste un bene comune (la crescita), il
conflitto di classe appare come un elemento deleterio per la società nel suo
complesso, perché impedisce la cooperazione pacifica tra le sue diverse
componenti.
All’epoca di Ricardo, l’establishment era rappresentato dai grandi proprietari terrieri, ma
una borghesia capitalistica in ascesa stava conquistando sempre maggiore potere
economico e politico. Sarà il conflitto tra queste due classi a scatenare il
dibattito scientifico tra Ricardo e Malthus, dibattito che sfocerà nella
redazione dei Principi. Malthus stava conducendo una battaglia in difesa dei
dazi sulle importazioni di cereali, che avrebbero mantenuto elevato il prezzo
dei principali prodotti agricoli (eredità delle guerre napoleoniche) garantendo
così ampi guadagni alle rendite. Nella narrazione di Malthus, neanche a dirlo,
tutti avrebbero usufruito dei guadagni derivanti dai dazi perché, argomentava
il reverendo, i maggiori consumi dei proprietari terrieri avrebbero a loro
volta arricchito l’intera società. Le opere di Ricardo formano la punta di
diamante della reazione suscitata da Malthus nella fiorente borghesia
capitalistica: quando la rendita cresce sotto la spinta dei prezzi dei cereali,
i profitti devono necessariamente ridursi perché cresce il valore monetario dei
salari che i capitalisti devono corrispondere ai lavoratori. Chiave di volta
del ragionamento di Ricardo è la relazione inversa tra i salari e profitti: dal
momento che i lavoratori consumano quanto appena sufficiente alla loro
sussistenza, il maggiore prezzo dei prodotti agricoli si trasferirà interamente
ai salari facendoli crescere proporzionalmente, e quindi i profitti riceveranno
una quota minore del prodotto. Questa rappresentazione plastica delle relazioni
tra le classi sociali mette a nudo il contenuto puramente politico del problema,
svelando la netta contrapposizione tra gli interessi dei proprietari terrieri e
quelli dei capitalisti.
Nonostante avesse dimostrato la sua
superiorità sul terreno delle idee, Ricardo perderà la sua più ampia battaglia
politica con Malthus: i dazi e gli altri principali privilegi dell’aristocrazia
terriera inglese resisteranno per oltre trent’anni agli attacchi della
borghesia capitalistica. Tuttavia, l’eredità di Ricardo andrà ben al di là del
suo tempo, travalicando persino gli interessi della classe sociale entro cui
quelle idee erano state forgiate. Una volta strappato il potere
all’aristocrazia terriera, infatti, la borghesia sarà chiamata in causa dal
nascente proletariato, le cui aspirazioni troveranno una legittimazione e una
spinta proprio in quello stesso paradigma teorico che aveva aperto la strada
all’abbattimento dell’ancien régime.
Nei fatti, le pagine scritte da Ricardo
duecento anni fa aprono un varco nella storia del pensiero economico attraverso
cui passeranno prima le utopie dei cosiddetti socialisti ricardiani, destinate
ad infrangersi sulle barricate del ‘48 sotto i colpi della repressione, poi la
lucida anatomia del capitale di Marx, che ispirerà l’assalto al cielo dei
bolscevichi (altro e più noto ’17) ed infine la critica dell’economia politica
di Sraffa, il fraterno amico di Gramsci che scoprirà proprio in Ricardo le
radici di un approccio all’economia “sommerso e dimenticato”, forse proprio
perché radicalmente alternativo al pensiero unico liberista. Possiamo ora
comprendere i timori di Carey, secondo il quale “le opere di Ricardo sono un
arsenale per anarchici e socialisti, per tutti i nemici dell’ordine borghese”.
Un arsenale che potrebbe tornare utile in questa crisi, contro i nuovi Malthus,
le loro prediche e la retorica pacificante del bene comune – per svelare la
trama delle divisioni di classe entro cui si muove, ieri come oggi, la nostra
società.
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